Fare Voci dicembre 2019

Ultimo mese dell’anno e nuovo numero di “FARE VOCI”.
E per prepararci a quella che sarà la geografia di letture, ascolti e visioni del prossimo anno, anche in questo numero varie sono le proposte.

La voce d’autore è quella di Patrizia Argentino, con le poesie del suo sorprendente “Ogni scherzo vale” ed è quella di Salvatore Cutrupi che ritorna con la raccolta di haiku “Cieli d’autunno”.

Il tempo presente è nel racconto “Io le ricordo tutte le parole” di Elisabetta Destasio, nel ricordo di Mario Carnelut e nel ritrovare il “Canto alla durata” di Peter Handke.

Gli attraversamenti della poesia croata continuano con Slavko Mihalić.

Le immagini sono di BEDDRU.

Buona lettura.

Giovanni Fierro

(La nostra mail: farevoci@gmail.com)

 

 

 

 

Immagini       ————————

Couples of divers

NATURART

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   108×108 cm)

 

 

 

Voce d’autore       ——————————-

Metto il tuo sorriso in tasca

Patrizia Argentino, “Ogni scherzo vale”

di Giovanni Fierro

 

È un libro che sorprende. Perché queste poesie di Patrizia Argentino, incluse nella sua nuova raccolta “Ogni scherzo vale”, prima si nascondono nel loro dire, poi si accendono e illuminano ben oltre dove il tuo sguardo era pronto a vedere.
Otto sezioni per un libro che si muove, non sta mai fermo, cambia direzione, attraversa la strada quando meno te lo aspetti, ti viene incontro e poi sa salutarti, vedi che ha i piedi per terra ma la testa è un continuo girotondo.
Brava Patrizia Argentino, in tutto questo vorticare di immagini e narrazione, a trovare e alimentare sempre la giusta tensione. Dove il gioco e la leggerezza sono lo strumento necessario, e desiderato, per mettere in evidenza il peso specifico di ogni cosa, persone o accadimenti che siano, luoghi o parole da esplorare, animali e città.
Perché in questo suo scrivere ha la leggerezza di dire “Dove mi siedo siedo/ lascio impronte di zucchero a velo”; e trova l’ammissione di come la malinconia sia punto di riferimento, “in queste lenzuola/ intrise di sogni/ ad occhi aperti”, per ognuno di noi.
In queste pagine Patrizia Argentino ci accompagna anche nei sentimenti, “Certi amori finiscono/ ma continuano a lavorarti ai fianchi”, e nelle sospensioni di tempo che sanno preparare bene l’attesa, “Che ti siano lievi/ le rose”.
Lo sguardo è ampio e attento, basta un niente per cogliere fragilità e dannazioni, radiografie del presente e promesse del futuro: “Cifre e valori/ posti a sedere/ e là in fondo/ qualcosa da bere”.
“Ogni scherzo vale” ha la capacità di trovare il nervo di ogni cosa, e in particolare di ciò a cui è difficile dare un’identità, una appartenenza.
Così “Il cielo di Milano./ Marcare la distanza/ tra me e quel che mi manca”.

 

dal libro:

Nuvole sul mare

Non c’è nulla
che mi piaccia di più
delle nuvole sul mare
quando d’estate
s’indovina il temporale.
L’odore della terra cambia,
un senso di staticità
a preannunciarlo.
La luce ha riflessi d’argento
e dietro alla montagna
il sole dorme
il riposo del guerriero.
Potessi catturare
la lentezza del presente
e restare così
per sempre
mollemente appesa.

*

Dire fare baciare

In giro
ce ne sono ancora tanti.
Si scambiano
baci metropolitani
coprendo le distanze,
da Cadorna a Lanza
da Zara a Rogoredo.
Al capolinea
l’amplesso è completo.
Sorridono
dove non sorride più nessuno
perché hanno segreti
che riesci ad indovinare.
Non è importante
che ai piani alti
piova o ci sia il sole
non sentono nient’altro
che le mani,
l’una in quelle dell’altro.
Ascolta lo schiocco dei loro baci:
non baciano soltanto
combaciano in tutto.
I loro sussurri
t’inseguono fino a casa.
Quando hai smesso
di baciare così?
Sfrontatamente
a occhi chiusi
in mezzo alla gente
che fa finta di non ricordare
tutto l’amore perso per strada.
Sono belli.

*

Tutto è teatro

È tutto teatro
solo teatro
se ti hanno chiamato
perché cercavano
il regista.
È tutto teatro
solo teatro
se già appendi
alle nuvole
i tuoi pesci di legno
e da qui sotto
sembra di sentire
la tua voce
mentre allestisci
una nuova scena
con il tuo solito
discreto garbo
di maestro.
È tutto teatro
solo teatro
se è già ottobre
ma mi pare presto.

*

Murano e Milano

D’improvviso il grido
di un gabbiano
squarcia il silenzio
mi distoglie dal torpore
e riscopro il fastidio
del risveglio forzato.
Peccato.
Assaporavo già l’idea
di restare per sempre qui a Murano
senza orari,
con un battito felice
come sotto giacca
e il bavero rialzato.
No, non ho detto Milano.

 

 

Intervista a Patrizia Argentino:

Nelle tue pagine il quotidiano è sempre protagonista. Il tuo scrivere trova sempre la misura giusta per starci dentro, per condividerne il respiro. È forse questa l’azione giusta per poterlo raccontare, per poterlo liberare con le sue espressioni più interessanti?
Mi piace scrivere delle cose di tutti i giorni perché lì c’è l’essenza di tutto, non servono grandi avvenimenti per risvegliare ciò che abbiamo dentro. Basta un’immagine, un oggetto e la penna vola…

Nella tua poesia usi molto la rima. Da cosa nesce questa decisione?
Non è una decisione, ma nasce spontaneamente e in maniera del tutto autonoma da qualsiasi mia scelta. Anzi, confesso che la rima non mi piace poi tanto, preferisco l’assonanza. Però in certi testi ci sta.

La ‘leggerezza’ è parte fondamentale del tuo scrivere. In che modo ha trovato, e trova, spazio fra le tue righe?
La leggerezza è tutto, ha per me un valore inestimabile nella scrittura come nella vita.
In realtà spesso mi sento un macigno, ma attraverso lo scrivere è come se all’improvviso levitassi lasciando a terra la zavorra.
La scrittura è per me il sollevarsi dal peso del vivere, è salire in mongolfiera guardando tutto dall’alto. E dall’alto tutto sembra più maneggevole e leggero.

Eppure, dentro a questo tuo fare poesia, che si nutre anche del ‘giocare’, c’è sempre un velo di malinconia, un fare riflessione che increspa la melodia del tuo scrivere…. Può essere così?
Certo perché il gioco e la leggerezza non tolgono il dolore, servono solo a renderlo accettabile, digeribile.

Una cosa che emerge, con determinata evidenza, è di come sia difficile trovare l’identità delle cose e di ciò che ci appare di fronte, la loro origine e il loro significato. E la tua poesia mi sembra che metta in risalto tutto questo……
Sì. Non c’è mai nulla di certo e di definito, tutto cambia ed è in movimento. Questo è il bello!

C’è una seziona dedicata alle città. Ma in particolare è Milano a lasciare il segno. Che rapporto hai con la tua città?
Milano è “casa”, con tutti i suoi pregi e difetti ma “casa”. E poi la trovo stimolante e moderna, per riallacciarmi alla domanda di prima “sempre in movimento”.
A volte fantastico di traferirmi a Roma, città che adoro, ma è come quelle cose che si sognano perché tanto si sa che difficilmente si avvereranno… e poi sono abitudinaria come un gatto e non mi piacciono gli spostamenti, quindi sto bene qui nella mia nebbia anche se oramai ce n’è sempre meno.
Poi chissà … il “per sempre” è una parola che non mi appartiene.

 


L’autrice:
Patrizia Argentino è nata a Milano, dove vive.
Nel marzo del 2017 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica, “Tanto vale scrivere”, con Prospero editore.

(Patrizia Argentino “Ogni scherzo vale” pp.162, 12 euro, Prospero Editore 2019)

 

 

 

 

Immagini      ————————

Etna

ENIGMA

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   106×106 cm)

 

 

 

 

Tempo presente       ———————–

Io le ricordo tutte le parole

Un racconto

di Elisabetta Destasio

io le ricordo tutte le parole,
io ricordo i giorni,
(quasi) trecento,
trecentosessantaquattro giorni di parole lanciate in aria, cadute nel vuoto, disintegrate sui binari della metro b

prima presagio di sole,
poi il niente:
ricordo un muro cadere, cedere sotto i colpi della forza,
e dietro un altro muro costruito per ingannare un altro anno

un’altra promessa di abbattere frontiere,
pazienza come piovesse, perché l’acqua, che venga giù dalle montagne o dal cielo, trascina e tracimano i fiumi,
si porta dietro case, persone, vengono giù tetti
anche gli alberi restano abbattuti a terra, si spingono nel terreno allagato,
così nel loro morire lento, lento

ma rimangono ferme e dritte le parole, quelle che hai saputo mettere nero su bianco – mancava, lo dico, una firma col sangue –
il fiele con cui sono stati pronunciati anche gli accenti
di cui il ricordo è fradicio, livido, ricolmo

solo parole, quelle che sono tutto quelle che uccidono lasciandoti viva, sopravvissuta al disastro
– tu che guardi da lontano e pensi – guarda come l’ha cambiata il ricordo

senza sfiorarla però
ha nuove rughe e nuove certezze
guardala: è tutta fragilità, tutta usata dalla vita

senza più nessun germoglio che ormai arriva l’inverno e gela, gela tutto anche il ricordo

se ne riparla, muro o non muro [sangue o amore, che nessuno tocchi l’amore], la prossima non più candida primavera.

 

l’autrice:
Elisabetta Destasio nasce 1968 a Roma, dove vive.
Scopre già dall’adolescenza, anche grazie all’amicizia paterna con Pier Paolo Pasolini, la predilezione per il componimento poetico. Lavora nell’ambito delle produzioni teatrali e musicali, dal 1995.
Lavora con Carmelo Bene, Luciano Berio, Lina Sastri, Ennio Morricone.
Dal 2013 intraprende l’attività di consulente editoriale ed editor.
Relatrice in convegni dedicati al tema della lotta contro la violenza di genere.
In occasione della Notte Bianca della Legalità riceve il “Premio Legalità Fiumicino 2018” per l’impegno civile e sociale svolto per la Fondazione Vassallo.
A settembre del 2019 è curatrice e direttrice artistica della rassegna “Poeti in itinere” Prima edizione.
Nel mese di Ottobre del 2109 alcuni suoi inediti sono stati tradotti in lingua araba e inglese, dalla scrittrice e giornalista Amal Bouchareb, per la rivista culturale letteraria Alaraby Aljadeed, diretta dal poeta Najwan Darwish.
È autrice delle raccolte di versi “Sogno d’acciaio” e “Corpo in animae”, pubblicate da Annales Edizioni (prefazione di Alberto Bertoni).

 

 

 

 

Immagini       ————————

Flexible perfection

NATURART

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   55×55 cm)

 

 

 

Voce d’autore       ———————

Un volteggio diverso per ogni foglia

Salvatore Cutrupi, “Cieli d’autunno”

di Giovanni Fierro

 

Sono cieli che si fanno improvvisamente piccoli, a contenere una foglia, e poi d’improvviso sono grandi, a nutrire un respiro.
Salvatore Cutrupi torna con il suo scrivere, e questa volta è un libro dedicato agli haiku.
Cieli d’autunno” sono pagine che, con sincera devozione a questa arte poetica giapponese, trovano un punto intenso nel percorso poetico di Cutrupi.
Questo lavoro è un ulteriore passo in avanti per la sua poesia, è con decisione la firma al suo percorso di ricerca ed espressione.
“Cieli d’autunno”, impreziosito dalla prefazione di Giacomo Vit e dalle illustrazioni di Omar Petruccioli, si muove per stagioni, le classiche quattro a cui l’autore ne aggiunge una quinta, dove potere raccontare di sé e dei propri affetti, della famiglia, della quotidianità del mondo.
Il Tempo è sempre stato un punto di riferimento per Cutrupi, che nei suoi tre precedenti libri lo ha raccontato ed esplorato, trovandogli sempre la dimensione della memoria e del ricordo, luogo con cui confrontarsi, alcune volte anche il dove perdersi, e sempre con la capacità di dargli forma, di trovare insegnamento e di mostrarlo in ogni sua possibile piega.
Qui, invece, il Tempo è il tempo di un momento, di un attimo dove raccogliere una immagine, una sensazione, una possibile fotografia di un qualcosa che succede e vive solo adesso, qui.
Scrivere haiku per Cutrupi è stato un esercizio che piano piano lo ha conquistato, che già c’era in certi passaggi di alcune sue poesie ‘classiche’; e in “Cieli d’autunno” questo scrivere si sviluppa e si mostra con tutta la sua forza, germoglia con gioia e con sapiente riflessione mostra tutta l’ampiezza della sua attenzione.
E tutta questa confidenza con l’anima della poesia, Cutrupi la fa vivere in una eleganza che si rinnova, che fa di queste sue parole sempre uno stupore: “d’inverno il vento -/ oscilla un ramo nudo/ senza riparo”.

 

Dal libro:

sera d’ottobre –
un odore di nuvole
nella minestra

*

sale la nebbia –
nessuno guarda il cielo
di questo inverno

*

rigido marzo –
nel vaso di cristallo
i fiori finti

*

la sedia vuota –
fiorisce ancora il melo
dietro casa

*

spighe di grano –
i nuovi girasoli
per ogni dove

*

di notte scrivo
poi di giorno cancello –
sboccia una rosa

*

succede sempre
quando il cielo è stellato –
succede sempre

 

Intervista a Salvatore Cutrupi:

Cosa ti permette di esprimere lo scrivere haiku, a differenza della poesia classica?
Lo haiku mi mette più direttamente a contatto con la natura e, rispetto alla poesia classica, mi consente inoltre di restare fuori da ogni contaminazione, da ragionamenti più o meno elaborati, da mediazioni di tipo sentimentale o da modificazioni della realtà rappresentata.
Mentre scrivo un haiku mi pare di sentire qualcosa di intenso, di speciale e di nuovo che si muove dentro di me, qualcosa che purifica il corpo e l’anima, una sensazione che nella poesia tradizionale ritrovo molto raramente.

Il libro esplora le quattro stagioni, a cui hai aggiunto una. La puoi raccontare?
La quinta stagione del mio libro è nata dal desiderio di fermare il mio sguardo anche su tematiche legate alla società in cui viviamo, come per esempio la miseria, la povertà, la sofferenza umana, la mancanza di solidarietà, il disagio sociale.
In questi miei haiku non c’è la presenza del riferimento stagionale (kigo) ma essi sono ugualmente ritenuti validi e in linea con quanto proposto dai movimenti letterari del nostro tempo.
A questo tipo di haiku viene dato il nome di gendai haiku (haiku moderni).

Il tuo scrivere, già nei precedenti libri, ha a che fare con il Tempo. Che si fa memoria e ricordo; qui invece è l’attimo, il momento di adesso… è quasi un contenitore di un accadere, di una immagine o di un guardare. Può essere così?
È proprio così. Nelle mie poesie tradizionali il tempo è memoria, ricordo, passato, nostalgia ma è anche gioia perché mi permette di accarezzare ancora una volta tutte le cose belle che ho avuto la fortuna di vivere e di incontrare.
Negli haiku il tempo non è il passato e non è il futuro ma è il presente, l’immediato, l’attimo fuggente. Lo haiku narra anche la transitorietà e la caducità delle cose (mono no aware) come una farfalla che compie l’ultimo volo o una foglia che cade.
Fare haiku significa rappresentare l’istante, catturare un suono, un odore, un’immagine e trascrivere il tutto senza metafore, ripensamenti o fittizi abbellimenti.

Quale, secondo te, è l’attualità e la forza, dello scrivere haiku?
L’attualità degli haiku sta nel fatto che non c’è un argomento più importante degli altri, non c’è una gerarchia di temi da trattare, ma tutti hanno la stessa importanza. La loro forza sta nella capacità che essi hanno di andare al cuore delle cose con sole diciassette sillabe, sta nelle suggestioni che offrono le stagioni e la natura, suggestioni che diventano occasione, incanto, stupore e poi parola.

Questa raccolta come è nata, da cosa ha avuto spunto, da quale desiderio o necessità ha avuto origine?
Questa mia raccolta è nata sicuramente dal desiderio di avere un ricordo tangibile di quanto scrivo ma anche, e direi soprattutto, dalla necessità interiore di rivivere ogni tanto emozioni già provate, di riassaporare con la mente e con l’animo i luoghi e i momenti che le hanno generate.
Un altro motivo, non secondario, che mi ha spinto a pubblicare è il piacere di poter condividere i miei versi con i famigliari e gli amici che stanno accompagnando affettuosamente i miei giorni.

Che ruolo hanno le immagini di Omar Petruccioli, contenute nel libro?
Le illustrazioni di Omar Petruccioli hanno un ruolo molto importante e arricchiscono il contenuto del libro perché, oltre alla bontà della precisione artistica e stilistica, hanno il pregio di avvicinare lo sguardo del lettore all’arte e alla cultura giapponese. Nelle immagini di Petruccioli si percepisce la comunione spirituale dell’uomo con la natura (che è propria degli haiku) e viene rappresentato quel mondo esotico dell’Oriente che tanto affascina anche la cultura occidentale.

Hai mai sentito la tentazione di ‘slegare’ l’haiku dalle sue classiche formule, dai suoi classici contenuti, e di contestualizzarlo e di scriverlo in modo differente?
Ho avuto questa tentazione che è stata suggerita dalle mie frequentazioni su Facebook dove ci sono gruppi che esperimentano haiku scritti in un solo verso (monoku) o in due versi (haiku column) o dove la regola delle diciassette sillabe non viene sempre rispettata perché viene considerata una “gabbia” che può limitare la spontaneità delle emozioni.
Come succede sempre in tutti i campi dello scibile umano anche questo è un mondo da esplorare senza preconcetti e, per quanto mi riguarda, penso che affronterò queste nuove esperienze poetiche quando avrò esaurito la spinta e le sollecitazioni emotive che attualmente mi regalano gli haiku classici.

L’haiku regala l’attenzione di un momento, di un frammento di vita. E anche l’occasione di una riflessione?
L’unico scopo del poeta di haiku è quello di cogliere l’attimo e di riportare ciò che vede o sente senza fare analisi. È indifferente se ciò che lo attrae è un fiore coi colori vivi e sgargianti o è un fiore selvaggio, se è un animale bello o brutto, se è un giorno di nebbia o di sole, una scultura di marmo o un frammento di vetro. Questa peculiarità della poesia haiku ci fa riflettere sulla bontà dei nostri comportamenti e sui giudizi affrettati che diamo nel nostro vivere quotidiano. L’haiku ci aiuta a ricordare che noi e la natura siamo un tutt’uno e che anche nell’imperfezione delle cose si può cogliere il senso della bellezza.

 

L’autore:
Salvatore Cutrupi è nato a Reggio Calabria e dagli anni settanta vive a Cormòns.
Ha pubblicato tre raccolte di poesia: “Tutti i miei giorni” (2014), “Mi accompagna il tempo” (2016) e “Le stelle che tornano” (2018), edita da Qudu.
Ha partecipato a numeri reading e ha presentato i suoi libri a Radio City di Trieste alla TV Koper – Capodistria, nella trasmissione “Le parole più belle”.
Collabora con il fotografo Luciano Berini al progetto “L’immagine incontra la poesia”, mostra itinerante di foto e poesie.

(Salvatore Cutrupi “Cieli d’autunno” Qudu editore, pp.108, 12 euro, 2019)

 

 

 

 

Immagini       ————————

Trust me

ENIGMA

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   106×106 cm)

 

BEDDRU, fare la scoperta

di Ilaria Battista

Altrove.
Quando guardi i quadri di BEDDRU, non sei in uno studio, in una galleria, in un luogo preciso.
Non sei qui e ora.
Sei altrove.
Stai ammirando corpi atletici che si tuffano in un celeste infinito con un arco liberatorio che sfida il vento.
Ti ritrovi in un mercato del Sud a sognare figure enigmatiche odorando spezie che ti incoraggiano a seguire passi sconosciuti.
Stai ascoltando giovani uomini che ti fanno dono del non detto.
Stai sfiorando fiori dai colori così vivaci che forse non impallidiranno mai.
Guardare le opere di BEDDRU vuol dire sentire l’energia che fluisce in ogni pennellata, sentire il calore del sole che accompagna l’audacia, toccare con mano meno incerta nuove strade pensabili, fino a poco prima nascoste.
È libertà quella vedi nei quadri di BEDDRU.
La libertà di osare, di vedere oltre, di cercare ancora, e ancora dopo, la libertà di vedere oltre il facile turchese, oltre il duttile gesto, oltre i confini del certo.
La libertà di vedere oltre a un corpo in fermo movimento, infiniti racconti possibili.

 

 

 

 

Immagini        ————————

Splash

NATURART

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   55×55 cm)

 

 

 

 

Attraversamenti        ———————

Slavko Mihalić

Una poesia

di Alessandro Salvi

(Cinque poeti croati, presentati uno per volta in prima traduzione italiana a cura di Alessandro Salvi. Quarta puntata)

Per Slavko Mihalić (Karlovac 1928 – Zagabria 2007) vale quanto Calvino disse a proposito di Manganelli, e cioè “che sia uscito come Minerva dal cervello di Giove, maturo e armato di tutte le sue doti“. Figura di spicco della letteratura contemporanea croata, si è imposto fin dalla raccolta d’esordio, “Musica da camera” (1954). Vasta la sua produzione poetica, ben rappresentata nella corposa antologia pubblicata da Jaca Book nel 1990: Un passo fuori.

di Slavko Mihalić:

Ottavo

Tu vorresti affrontare i segugi? O, io conosco vendetta
migliore: aspettali, consegnati a loro, ti gettino pure nella cella.
Perché loro non vogliono te, ma la tua fuga.

Osmi

Ti bi da prkosiš goničima? O, ja znam mnogo bolju
osvetu: dočekaj ih, predaj im se; neka te bace u tamnicu.
Jer oni ne žele tebe, nego tvoje bježanje.

(da “Ponoćni zapisi/Appunti di mezzanotte”)

 

 


Il traduttore:
Alessandro Salvi è nato a Pola, in Croazia, nel 1976, e vive a Rovigno, in Istria.
Ha pubblicato le raccolte “I fiori nel mare” (2011), “Rominjaju mravi mesožderi i druge sitnice” (2011) in edizione bilingue italiano-croato, “Santuario del transitorio” (2016).
Suoi testi appaiono anche in diverse antologie e opere collettive.
Suoi scritti sono apparsi anche su riviste e litblog.
Il suo libro più recente è “Poesie scritte sul retro di scontrini”, Fallone Editore 2018.

 

 

 

 

Immagini        ————————

The cherry picker

ENIGMA

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   85×85 cm)

 

 

 

 

Tempo presente      —————————

Un ricordo di Mario Carnelut

Sincerità rispetto umanità, tre parole per raccontare Mario Carnelut (Gorizia 1951-2002) uomo e poeta.

di Roberto Marino Masini

 


Scriveva in prima persona solitamente “Marieto” (soprannome datogli dagli amici – e noto in tutta la città per identificare questo “gigante buono”), si raccontava nel suo intimo fare, attraverso la poesia.
Parole dettate dall’animo, mai banali, mai artificiose, scavate nel proprio profondo ascoltare, o sentire se stesso nel mondo che lo circondava.
Lentamente il suo far poesia si era tramutato in una forma sempre più concisa, essenziale, proprio per non sprecare tempo in inutili descrizioni, per andare dritto al nocciolo del sentimento provato in quel preciso momento.
Centellinare ogni parola, studiarla per giorni, adattarla quasi la sua poesia fosse una scultura alla quale levigare una lieve sporgenza, un dipinto da rifinire con un’ultima pennellata “… io acquarello in te mi dissolvo…/…soffio nelle pieghe delle parole… sussurro e separo ogni loro respiro…”.
Singole parole le quali racchiudono un mondo intero di significati, surreali scenari alle volte, colti in un azzurro, in una rosa, in una rondine, nella luna che rotola sull’erba…o più semplicemente sfumature in un sorriso, uno sguardo, un battito di ciglia dove riconoscere l’attesa, un brivido in una foglia appena smossa dall’aria. Oppure ancora nell’alternarsi delle stagioni (la primavera e l’autunno in particolare). Fondamentale aspetto nel suo scrivere inoltre, è stato il rispetto del valore della poesia vera, come la definiva, senza arzigogoli intellettuali, per parole che dessero emozione, più che attenzione allo stile fine a se stesso.
Le pause e la punteggiatura studiate con grande cura, quasi maniacale: pause che durante una lettura (la sua voce unica dal timbro grave profondo), donavano un senso di riposo, come un sospiro dopo una grande fatica.

Mi sembra opportuno qui citare alcuni pensieri di Gianni Anglisani, nella postfazione della raccolta “Rebus” (1983) di Mario, in cui la poetica di Carnelut viene ben svelata:
…. Tu, in queste poesie, hai isolato il dolore/felicità/amore. Te ne sei impossessato e, ora, lo gestisci tu, ovviamente con tutta la irrazionalità, l’imprevidenza, la scoperta innocenza con le quali i poeti possono gestire qualcosa…
Insieme alle impressioni di Gianfranco Ellero, nella postfazione di “Profili” (1990):
… Il dono dell’uomo/poeta, il suo carisma, sta proprio nella facoltà di creare immagini, adoperando le parole al di fuori del codice della pura comunicazione, e Mario è sempre in attesa di trovare, nella ressa dei giorni, un ritmo che solo lui conosce… questi ‘Profili’ – Profili di sensazioni, credo, espresse con una concisione che libera una grande emotività, si trasformano in altrettanti spot sul fil rouge che davvero gli interessa, quello dell’amore…

La sua mole incuteva rispetto, ma in realtà era lui per primo a rispettare il prossimo.
“Scusa” era la sua prima parola dopo il saluto, che mormorava ad ogni incontro. Non voleva disturbare nessuno, quasi fosse un ingombro dovuto forse al suo imponente aspetto fisico.
Rispettoso della vita in ogni sua forma, (in particolare profondamente stupito nell’evolversi della natura), sempre gentile con l’altro e pronto a dare il suo appoggio a chiunque. In particolare, all’inizio del duemila e prima ancora, dava il suo contributo, seguendo l’impegno di Alma, come volontario in un centro goriziano della Caritas, nell’accoglienza dei profughi, provenienti allora dall’ex Jugoslavia, e subito dopo da paesi africani.
Di Mario ho molti ricordi di quella che è stata la nostra amicizia (seppur breve, dal 1995 al 2002).
Era pronto a difendere in ogni modo il valore della poesia, della cultura, dell’arte in generale, ma soprattutto convinto nell’importanza della promozione artistica locale, della quale parlavamo spesso con fervore davanti ad un calice di rosso.
Criticava le istituzioni non sufficientemente attente a questo valore, confrontandole con iniziative pubbliche di altri stati vicini a noi (Austria e Slovenia), o la Russia dove era stato, partecipando ad uno scambio culturale organizzato dal PCI di allora, e del quale, ridendo, ricordava di aver “preso” non proprio per caso, un paio di occhiali da lettura “dimenticati” da un poeta sovietico.
Occhiali che esibiva con orgoglio estraendoli da una custodia metallica (originale russa pure essa) ogni qualvolta leggeva in pubblico.

Concludendo, voglio ricordare l’importanza della famiglia nella vita di Mario. I figli Billy, Jessica, Melody, che amava profondamente, ed Alma sua compagna (conosciuta in un viaggio in Sudamerica, a Machu Picchu), figura sempre presente nello scrivere quanto nella vita “Alma, odore bruno di pelle ambrata…”, una “Piccola rondine” che compare e si defila in silenzio in diversi testi, uno spirito che aleggia e lo protegge “… Lei si stende sulla mia anima come un soffio s’aria pura…/ tenerezza e meraviglia…”, con la quale ha condiviso la propria esistenza fino all’ultimo “soffio di vento”.
Questa è stata la poesia di Mario.
Amico, Poeta, Uomo di grande spessore.

In ricordo di Mario

Il fruscio
del vento. Sentivo
il tuo giugno
su di me mentre
una stella si spegneva
porgendo il braccio
alla morte.

 

Poesie di Mario Carnelut:

 

da “Rebus” (Autoprodotto 1986, stampato da “Grafica Goriziana”)

Non è vivere

Non è vivere –
Avere la faccia rivolta verso il muro..! –
È una vita da cani –

Dormire – Russare -Morire e forse sognare..! –
Datemi un sogno per campare –
Ho un fiore anch’io – nel bosco della fantasia –

*

L’Alba

Scivola il sogno. –
E l’Alba – si vela di Stupore. –

Da qualche parte..

Nel buio ogni cosa è più grande.
L’Ombra che si allunga non si allontana.

Seguiamo piano la linea dell’Andare.
Da qualche parte – l’infinito c’è sempre..!

*

Estate

Come è grande il cielo..!
E come è piccola una donna..!
Nel cortile della luna.

Giugno 1983

 

Da “Profili” (Autoprodotto 1990, stampato da “Grafica Goriziana”)

Alma

Alma, odore bruno di pelle chiara
Calore giallo color dell’ombra
Siamo come l’alba per il sole
Pronti a scioglierci per sempre.

*

Febbraio

Febbraio – tace le sue ragioni
Dagli alberi immaginari
Insignificanti fogli di carta bianca –

*

Profili

Pallida nebbia
Luce d’autunno
Cenere fredda è la mia ombra.

 

 

Da “Sento il fruscio su di meMario Carnelut – Poesie raccolta di inediti postuma (Sottomondo Editore/Gorizia 2003),

Parole infrante

Con fiato sospeso –
Soffio nelle pieghe delle parole –
Sussurro e separo ogni loro respiro.

*

Piccola rondine

Lei è una piccola rondine
Che mi sorvola
E mi sorprende.

Con le sue ali
Mi sfiora
E poi scompare.

Lei si stende
sulla mia anima
come un soffio d’aria pura.

Per Alma.
24 aprile 1999

*

Autunno

Tra brina e rugiada –
La luna cade sull’erba .

Sola come un sasso –
Rotola dolcemente.

*

Desideri

Dove vanno i desideri?

Crepe sottili
Arsi dal vento.
Piccole macchie – d’umidità.

Dal silenzio sul volto accumulati!

*

Azzurro

In
Te
Perduto
Colore.

Io
Acquarello
Mi dissolvo.

*

Primavera

Aria di piccole foglie –
Fa che nessuno – trovi
Il suo nido.
Siamo petali –
Dello stesso fiore –
Se ci guardiamo –
Fioriscono gli occhi.

*

Inverno

Timido –
E impaurito.
L’inverno –
Non fa rumore.

Ha paura dell’eternità..!

*

Ventisette febbraio

Un’immensa luna –
Si affianca al mio cuscino.

Una notte alla rovescia –
Illumina il cortile.

27 febbraio 2002

*

L’attesa

Lieve
Bussare
Sui vetri.

Misterioso
Rumore
Di ciglia.

Brivido
Sottile
Dell’attesa.

L’inverno
Degli affanni
È terminato.

13 marzo 1999
Dedicato a mia madre.

*

L’attimo

Sulla sommità dell’attimo –
Mi’inabisso e mi disperdo.

Tenerezza e meraviglia –
Del suo cupo scantinato.

24 aprile 1999
Per Alma

 

 

L’autore:
Roberto Marino Masini è nato nel 1958 a Gorizia, dove vive.
Ha pubblicato le raccolte di poesia “Un profondo delicato” (2002), “Il tempo ci attraversa” (2006), “La delicatezza di un piacevole mistero” (datata 2004 – edita 2007) sulla rivista istriana di Fiume “La battana”.
La sua raccolta “I cedri del Libano” (2007) è risultata vincitrice al concorso nazionale di poesia “Pubblica con noi 2008”, organizzato da Fara Editore (Rimini).
Nel 2009 ha pubblicato “Cercavi tra l’erba le parole”, e poi la raccolta “Per disperata ostinazione” (2014).
Il suo libro più recente è “L’andare illogico” del 2016, edito da Qudu di Bologna.

 

 

 

 

Immagini        ————————

The bathers

NATURART

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   50×50 cm)

 

 

 

 

Tempo presente        —————————

Spostare indietro la sedia

Peter Handke, “Canto alla durata”

 

Al di là del premio Nobel che ha ricevuto, Peter Handke è figura centrale nella letteratura contemporanea. Figura anche scomoda e per nulla pacificata con il mondo (vedi il suo appoggio dato alla Serbia…) Peter Handke è autore di un volume fondamentale ed importante: “Canto alla durata”.
Apparso la prima volta nel marzo 1986 e pubblicato in Italia per cura e traduzione da Hans Kitzmüller, scrittore e germanista ed editore con il proprio marchio Braitan, questo libro è stato poi recentemente ristampato da Einaudi.
Questa è l’occasione per ritornare a frequentare le sue pagine.

 

da “Canto alla durata”:

Singolare è il sentimento della durata
anche alla vista di certe piccole cose
quanto meno appariscenti, tanto più toccanti:
un cucchiaio
che mi ha accompagnato in tutti i traslochi
un asciugamano
appeso nelle stanze da bagno più diverse,
la teiera e la sedia di vimini
per anni lasciata in cantina
o accantonata da qualche parte
e ora finalmente di nuovo al suo posto,
un altro, in verità, diverso da quello originario
e tuttavia al suo posto. […]

Anche a casa mi si fa accanto molte volte
quando cammino su e giù per il giardino
nella neve, nella pioggia, al sole, sotto il temporale,
[…] oppure quando mi siedo nella mia stanza
al cosiddetto tavolo da lavoro –
non per attendere alla mia occupazione, al testo,
ma per fare tutti quei soliti gesti secondari:
spostare indietro la sedia,
dare uno sguardo nel cassetto […]
sbirciare dalla finestra in giardino
dove i gatti lasciano le loro tracce
nella neve profonda e tra l’erba alta,
mentre ascolto da diverse direzioni a seconda del vento
il fischio e il trabalzare
dei treni che percorrono la pianura.

O durata, mia quiete!
O durata, mia sosta! […]

La durata è il mio riscatto,
mi lascia andare ed essere. […]
Chi non ha mai provato la durata
non ha vissuto.

La durata non stravolge,
mi rimette al posto giusto”.

Appunti per un canto, appunti per una durata

di Giovanni Fierro

“Canto alla durata” è firmato da Peter Handke con data marzo 1986.
Sono più di trent’anni che questo poemetto ha aperto un varco nella percezione umana.
Ma percezione di cosa? Di quale durata nominata nel titolo?
La durata induce alla poesia” è una delle asserzioni che si incontra nelle prime pagine.
E tutto questo testo è un invito prima di tutto alla propria vita, perché “la durata è la sensazione di vivere”, spiega Handke, ed è il luogo, o i possibili luoghi, dove ogni nostra singola vita accade e ritorna.
Ecco, la durata di Handke è un presente, ampio e vario, che contiene “l’avventura del passare degli anni”, dove è possibile trovare e vivere “il momento in cui ci si mette in ascolto, ci si raccoglie in se stessi, ci si sente avvolgere”.
Perché, molto semplicemente, “la durata è un sentimento”, che nasce quando una nostra esperienza rimane, che si ripete come la vicinanza più prossima alla bellezza.
È un invito continuo anche alla scrittura questo testo di Handke. Perché proprio allo scrivere l’autore consegna questi momenti, unica verità capace di custodire la durata, oltre al nostro personale vivere.
E questa scrittura, come l’esperienza primaria umana, ha bisogno di quiete, dove può manifestarsi e compiere il desiderio di trovare l’occasione dove essere “sempre presente a me stesso”.
La durata, come la poesia, non si costruisce con le attese, ma con il proprio passo incontro al vivere quotidiano, all’immergersi nel mondo fatto di persone, emozioni, pensieri, luoghi e tempo.
Perché Handke lo dice, “devo andare incontro alla durata”…
E questo sentire la durata, e di nuovo anche la poesia, è una possibilità, una appartenenza dove mettere in contatto, e in complicità, lo stare al mondo e l’immaginare il mondo.
Non è poco. È una responsabilità.
Che si apre nel sentimento più vivo: “il canto della durata è una poesia d’amore”.
A distanza di decenni, questo testo è anche un invito a ripensare al concetto di Europa, in termini di durata, di percezione di cosa è per ognuno di noi e di cosa non è più.
Ma la possibilità di inserire, in questo presente allargato, anche la domanda di come potrà essere.
Sì, una durata che si articoli e si completi, come l’essenza stessa di Handke, austriaco di madre slovena, percezione in prima persona di una possibilità di Europa, di una augurata durata fatta di appartenenza e vitalità. Non a partire dagli stati, ma da ogni singolo individuo.
Perché, ed un passaggio importante, Handke in queste pagine insiste in un invito diretto e sincero: “Salvare, salvare, salvare!”.

 

 

 

 

Immagini        ————————

La donna di Mahe

ENIGMA

di BEDDRU

(mixed media on plexiglas   108×108 cm)

 

Intervista a BEDDRU:

di Ilaria Battista

La cosa che mi colpisce di più nelle tue opere è la scelta dei colori.
Avvolgenti, caldi, pieni di vita, mi ricordano la tua terra d’origine, la Sicilia.
La scelta di sfumature così vivaci è figlia dell’influenza delle atmosfere siciliane, quindi un omaggio alle tue origini, o è un’esigenza che senti dopo tanti anni passati sotto il cielo decisamente più grigio dell’Europa del Nord dove vivi?
La scelta di una gamma cromatica, che nella sua voluta limitatezza utilizza una combinazione di colori e toni solari, rappresenta una scelta che da artista ho fatto nel momento in cui ho dato vita ad un nuovo processo creativo su plexiglass.
La serie NATURART, che investiga la nostra capacità di armonizzarci a ciò che ci circonda, ha avuto inizio in pieno inverno. Il primo tuffatore, acquisito da un collezionista londinese, l’ho dipinto nel mio atelier di Bruxelles in una giornata grigia ed uggiosa.
Il contatto con l’elemento acqua è diventato una sorta di ossessione che continua ad accompagnare il mio percorso artistico.
La lontananza dal mare siciliano e dai colori caldi della mia terra, mi ha spinto a riprodurli nel mio stile, nell’intento di rigodere dei benefici innegabili che il loro effetto genera istantaneamente sul mio umore.
Come esseri umani, la nostra risposta agli stimoli esterni è molto simile a quella delle piante.
Per crescere e sentirci bene abbiamo bisogno di luce. Il modus vivendi moderno è purtroppo quello di trascorrere poche ore al sole e troppe in spazi chiusi quali case, uffici, scuole.

Personalmente amo molto la serie dei tuffatori, non solo per i toni dell’azzurro così accoglienti, ma anche per il senso di libertà che traspare da queste figure in procinto di volare tra acqua e cielo.
Uno dei quadri di questa serie aveva come titolo “No fear Non abbiate paura”; come se tuffarsi volesse dire lasciare alle spalle tutto ciò che ci trattiene e gettarsi, con fiducia, verso un mondo e un futuro più accogliente. È solo una mia lettura, o c’è anche un certo invito al coraggio di essere liberi nei tuoi quadri?
La chiave di lettura è assolutamente corretta. Tutti i miei tuffatori invitano chi li guarda a concedersi il diritto di essere libero, libera.
Ci confrontiamo quotidianamente con la tempistica feroce dell’efficienza, delle dinamiche veloci, del fare di più, del fare meglio (di prima e degli altri).
Quello che sembra ormai essere la regola per il successo è, ahimè, anche una trappola che può renderci miopi. A volte la bellezza che ci sta attorno ci sfugge, e non godiamo a pieno del piacere quotidiano di avere accanto le persone che amiamo, perché troppo presi da tutto ciò che dobbiamo ancora terminare di fare.
Quando ritorno in Sicilia vado al mare. Mi tuffo. I pochi secondi prima di riemergere dall’acqua sono preziosi, perché una volta riemerso mi sento un altro, mi sento nuovo. La stanchezza, i pensieri a volte pesanti, le incertezze, le preoccupazioni si dissolvono magicamente.
È una sorta di atto battesimale, che in senso assolutamente non religioso ci permette di iniziare un nuovo ciclo di vita. In questo senso, i miei tuffatori sono un richiamo a fermarsi, a lasciare dietro di sé il passato e a godere del momento presente.

La serie ENIGMA è una galleria di vivacissime figure femminili. C’è qualche figura di donna che ti ha ispirato particolarmente o che ti ha influenzato nella scelta di questi soggetti?
Il corpo di opere ENIGMA nasce dalla volontà di validare l’operato femminile nel tessuto sociale, dove queste figure hanno operato o dove si trovano a svolgere attività molteplici.
Alcune di esse sono tratte dalla mitologia greca o siciliana, altre sono ispirate a personaggi reali, le mie eroine.
Quelle mitologiche si spiegano con le mie origini agrigentine e la cultura greco-romana nella quale sono cresciuto negli anni trascorsi in Sicilia.
Quelle reali sono invece spesso le due donne che ho amato di più, mia madre e mia nonna.
L’idea è quella di rappresentare il tema della solidarietà femminile, del doppio ruolo madre/lavoratrice, dello scambio generazionale, dell’inversione di genere dove simboli di potere maschile vengono rappresentati al femminile.
In un mondo disegnato per gli uomini, ho voluto ritagliare uno spazio tutto dedicato a figure femminili capaci di lasciare una traccia importante del loro passaggio.
In questo senso, invito i lettori a scoprire opere quali “Trust me”, nella quale rappresento mia madre bendata che segue senza esitare una donna che la precede, mia nonna; e “Etna”, un’opera in cui rappresento il vulcano siciliano con sembianze femminili.

Una domanda banale che ti avranno posto in molti, ma è una cosa che mi ha davvero incuriosito…
Perché usi il plexiglass come materiale per i tuoi lavori? Una scelta di stile o un materiale che si adatta meglio alle tue esigenze pittoriche?
Non esattamente. Il plexiglass mi ha sedotto per la sua trasparenza e resistenza. Se di buona qualità, è un materiale piuttosto costoso, il che può potenzialmente scoraggiarne la sperimentazione.
Mi ha permesso di esprimere temi del passato su un supporto moderno. A conti fatti sono un pittore contemporaneo. L’uso del plexiglass fa parte della sperimentazione di materiali alternativi alla tela. Ripetere quello che altri hanno fatto prima di me mi interessa poco. Quello che mi interessa veramente è contribuire ad un cambiamento nell’arte contemporanea tracciando vie nuove nell’ espressione pittorica.

Dipingi anche opere astratte, anche se in misura minore rispetto al figurativo. Sono una nuova strada che vuoi percorrere, una vecchia strada che hai abbandonato, un’esigenza di momenti particolari?
Nasco come pittore figurativo e sento di esserlo in pieno. La figura umana è sempre prioritaria nella mia composizione pittorica. Le pochissime opere astratte realizzate fanno parte di un progetto figurativo. Mi spiego. Quello che mi interessava era rappresentare una realtà invisibile ad occhio nudo. A volte pensiamo di conoscere la materia, ma quando la guardiamo al microscopio scopriamo un mondo incredibile ed impercettibile ad ogni occhio nudo.
Le mie opere “astratte” rappresentano questo mondo cellulare composto da corpi vegetali, da fiori che ho intitolato “improbabili” perché diversi dalle immagini floreali a cui siamo abituati nella realtà macroscopica di tutti i giorni.

Esponi in quasi tutto il mondo; hai notato se c’è un filo che lega le reazioni ai tuoi lavori più o meno ovunque, o se i sentimenti che ispirano sono notevolmente diversi da paese a paese?
La fortuna di esporre i miei lavori in così tanti paesi ed in spazi importanti per l’arte quali Sotheby’s New York, l’Oculus del World Trade Center di New York dell’architetto Calatrava, le sale del Bramante a Roma, il museo BOZAR di Bruxelles, le numerosissime fiere internazionali, da Miami a Singapore, mi ha offerto un’intera gamma di consapevolezza sulla reazione di un’audience così culturalmente diversa e diversificata. Se da un lato le sensibilità verso l’uno o l’altro corpo della mia produzione artistica possono variare da paese a paese, dall’altro il feedback resta unanime.
Quello che i collezionisti continuano a ripetere alle gallerie che mi rappresentano, o direttamente a me, quando ci incontriamo in occasione di eventi creati per facilitare questo scambio, è che le mie opere infondono loro serenità, gioia, tranquillità e toccano le corde delle emozioni positive, quelle che ci ricordano che ogni giorno conta e che la vita è un bene prezioso. Mi sento fortunato.

Cosa ispira la nascita di un tuo quadro? Qualcosa che hai visto, che hai letto, che hai ascoltato? O un ricordo legato ad un sapore o ad un profumo, penso ad esempio a “The spice seller” o a “The cherry picker” che mi hanno riportato ai profumi e ai colori dei mercati siciliani…
La missione dell’artista è quella di lasciare una testimonianza del tempo in cui ha vissuto.
Le opere possono nascere da esigenze diverse.
La mia avversione al modernismo estremo, per esempio, ha fatto nascere “Fuck modernism”, un ritratto maschile in cui esprimo il mio personale distacco dai messaggi di autoreferenzialità che il modernismo ha voluto portare anche nell’arte.
Sperimentare non significa necessariamente dover reinventare la ruota.
A volte, le opere posso nascere da fatti quotidiani che si vivono, da quelli insomma che hanno luogo nella nostra sfera personale. “Here and elsewhere” ne è un esempio. Ho dipinto quest’opera affrontando il tema della malattia, specificatamente il cancro contro cui una persona che amo si è dovuta confrontare.
I nostri scambi intimi durante il trattamento, le paure espresse, il disagio, il dolore fisico e mentale, le speranze ed i sogni che questa persona mi ha confidato mi hanno spinto a dipingerla, o meglio a dipingere il potere della malattia e il devastamento emotivo sull’individuo, ma anche la forza d’animo e la volontà di liberarsene. La donna che mi ha ispirato ha vinto la sua lotta.
Viaggiare, un’attività che amo, mi offre spesso ragioni per dipingere nuove opere come nel caso de “La donna di Mahe”, la storia di una pescatrice incontrata in un viaggio alle Seychelles. Parte del corpo ENIGMA è dedicato a scene di mercato emerse dalle memorie d’infanzia. Nonna Carmela mi portava con lei al mercato il venerdì mattina in estate. I ricordi delle mercanti che vendono stoffe, fiori, frutta, ortaggi e mercanzie varie, i loro cesti, il loro vociferare, emergono in scene forti e dettagliate come se le avessi vissute il giorno prima. Mi hanno segnato per sempre.

L’artista:
Pittore figurativo autodidatta, BEDDRU (Giuseppe Bellia) è nato in Sicilia ma vive e lavora da molti anni a Bruxelles.
La sperimentazione è la cifra stilistica dei suoi lavori.
L’utilizzo di pannelli di plexiglass, che sovrapposti creano un modello tridimensionale, la vivacità cromatica frutto dell’uso di pigmenti puri, le figure enigmatiche protagoniste della sua visione artistica, la tecnica pittorica… tutto questo contribuisce a rendere il suo stile chiaramente riconoscibile.
Le sue opere, internazionalmente apprezzate, sono esposte nelle più rinomate gallerie, in mostre di Arte Contemporanea, in musei e in numerose collezioni private.

https://www.beddru.com/

 

 

rivista Fare Voci

curata da Giovanni Fierro

collaboratori:
Roberto Lamantea, Salvatore Cutrupi, Ilaria Battista
Alessandro Salvi, Livio Caruso, Guido Cupani, Antonello Bifulco.

 

 

 

 

 

 

 

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