Fare Voci novembre 2019

 

 

Novembre è un mese ricco di buone vibrazioni.
Tutto da leggere, guardare e ascoltare.

Ad iniziare dalla voce d’autore di Roberto Cogo, e la sua raccolta “Quando m’immersi”.
Gli attraversamenti della poesia croata continuano con Danijel Dragojević, e la sua poesia “La gente dorme”.

Ricco e vario il tempo presente: con Angela Angiùli e nove suoi testi inediti, con lo scrivere di Luciano Tricarico, il raccontare di Roberto Lamantea e il “Niente è obbligatorio” di Simona De Salvo.
La musica delle altre note è l’album “Dali” di Aldo Becca.

E le immagini? Sono dell’artista polacco Jaśkowiec, con i suoi otto dipinti.

Anche per questo mese, buona lettura.

Giovanni Fierro

(la nostra mail: farevoci@gmail.com)

 

 

 

 

Immagini      ———————

Brave new world

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acquarello ed inchiostro su carta  70×50  2016)

 

 

 

 

Voce d’autore      ————————–

Alla mia presenza

Roberto Cogo, “Quando m’immersi”

di Giovanni Fierro

 

È la scoperta continua, la rinnovata voglia di rinominare se stessi, le cose e gli accadimenti. È “Quando m’immersi”, la più recente raccolta poetica di Roberto Cogo.
Sono pagine immerse nell’acqua di fiume, e immerse anche nella necessità e nel desiderio di una nuova consapevolezza. Di un ritorno dove tutto è iniziato, perché è sempre importante trovare un posto dove stare, “qui, né giusto né ingiusto, né male né bene”.
Frequentare l’acqua di fiume diventa così un qualcosa di prezioso, una sorta di viva attenzione che l’immersione nelle acque fa riaccendere, riportando ogni percezione ad una nuova identità.
Per fare questo bisogna spogliarsi dell’abitudine, dei canoni e dei codici consolidati e finora accettati, per poi poter dire “fu occasione ed esperienza, il graduale/ formarsi di un nuovo tratto nella mente”.
Istinto e intuizione come principi d’appartenenza”, e come punto di non ritorno, valico da oltrepassare, in una nuova fiducia verso se stessi. Verso il mondo?
Immergersi è anche inventare un tempo tutto per sé, è trovare il punto preciso dove “la solitudine divenne contatto totale con le cose”. Ed è il momento giusto per allargare le braccia ad un nuovo inizio.
Roberte Cogo in questi testi parla anche della poesia, la cui trasparenza è la trasparenza dell’acqua, la cui sospensione è la sospensione del tempo in cui siamo immersi.
Perché è la poesia stessa a decidere le parole del poeta, e “quando la natura vuole, l’acqua chiama all’immersione”.
Acqua di fiume e sensi dell’umano stare al mondo. “Quando m’immersi” ha con sé valori e significati, parla del nuotare e dello stare a galla, delle correnti e delle pozze. Parla di ogni silenzio necessario che spinge l’uomo a tuffarsi nel proprio vivere. Anche solo per imparare a nuotare. Anche solo per imparare la poesia.

La sua raccolta “Quando m’immersi” è scaricabile gratuitamente qui:
https://robocogopoetryonline.jimdo.com/

 

Dalla raccolta:

3

quel togliersi tutto di dosso fu
e divenne un’urgenza emotiva trascendentale
quell’immergersi e nuotare in santa pace

fu occasione ed esperienza, il graduale
formarsi di un nuovo tratto nella mente

fu sogno reiterato lo sguazzare nel sempreverde
dei fiumi, il penetrare i più profondi misteri
fino a farmi acqua, fino a trasformare

*

16

quando m’immersi nel grigio crepuscolo
fui pervaso dal dolore dell’ansia e del non-ritorno
fermo in silenzio precipitai nell’ascolto

voci e suoni confusi, mescolati al battito
del sangue, al fruscio del pensiero

quando riemersi alla mia presenza
trovai un nesso nel risucchio gelido del torrente
la condizione del quieto abbandono

*

34

immergersi e tornare a remoti stadi evolutivi
riemergere e ritrovare pelle e squame
pinne dorsali e frontali, branchie e dita palmate

confusione di membra su corpi flessuosi
potenza e resistenza incapsulata in muscoli e fibre

indietro verso i luoghi perduti
civiltà e progresso solo puri concetti senza sostanza
istinto e intuizione come principi d’appartenenza

*

46

le più stupide convenzioni morali
contrapposte al nostro impulso primario
di adesione, al nostro stare in sincronia

con ritmi e colori, profumi e visioni naturali
a scatenare l’istinto al tuffo, all’immersione

ora fatti cullare dalle acque fredde del torrente
libera le più occluse endorfine
qui, né giusto né ingiusto, né male né bene

Intervista a Roberto Cogo:

La prima sensazione nella lettura di “Quando m’immersi” è quella di fare un passo dentro ad un qualcosa di sacro, di prezioso ed irripetibile…. Sembrano quasi dei canti…
La prima sensazione, come sai bene caro Giovanni, è ingannevole. Ma apre la strada al dubbio, alla ricerca, all’immersione. Irripetibile, certo, come una performance, come un happening in cui l’attimo presente è l’unica vera realtà. La scrittura e la lettura come forme d’arte e di meditazione dove il brusio ininterrotto della mente viene momentaneamente sospeso.

In questo tuo scrivere l’acqua e la poesia si trovano, ognuna con la propria trasparenza. È solo una mia sensazione?
Quello che conta traspare, si rende visibile in mezzo al caos costante delle cose superflue che ci attanagliano quotidianamente. Squarcia un cielo di nuvole come un raggio di sole.
Fa brillare un fondo oscuro sulla superficie delle acque. L’acqua e la poesia − due fragili limpide molecole attraverso cui osservare il mondo che trasforma.

La percezione è anche quella di vivere l’acqua come un contenitore di tempo, di tempi… può essere così?
Il tempo è un ciclo che si rinnova e si ripete, mai uguale a se stesso, mai banalmente rivolto in una sola direzione. Il tempo non è una linea, come ci insegnano a scuola. Acqua e tempo sembrano coincidere.

In questa tua raccolta ci sono tanti passaggi importanti. Tra questi penso che “Istinto e intuizione come principi d’appartenenza” sia uno dei più significativi. Lo puoi commentare?
Noi siamo fondamentalmente istinto e intuizione, ma vogliono farci credere altro.
Quello che realmente siamo mina alla radice ogni rassicurante sistema razionale e organizzativo dello stato fondato, in parte, sul controllo e sulla repressione.
Istinto e intuizione sono quanto ci rimane del nostro essere profondo. Tutto il resto viene a conformarsi alle esigenze di una società umana non ancora in grado di riconoscere la propria posizione tra le cose del mondo. Non è certo con le leggi della logica o dello sfruttamento che si può anche solo ambire a trovare delle risposte al mistero insoluto e insolubile della vita.

Tanto si ha la sensazione, immergendosi in queste tue poesie, di un senso di libertà e di apertura al mondo e a se stessi, e tanto si sente anche un senso di protezione. Quasi l’immergersi dia la sensazione di tornare nella pancia della propria madre. Se è così, come convivono queste differenti percezioni, differenti realtà?
Gli opposti convivono da sempre e sempre produrranno gli stimoli e l’energia propria al cambiamento e alla trasformazione. L’osservazione e l’analisi scientifica ci insegnano che in ultima sede la materia e l’energia sono la stessa identica cosa. L’una contiene ed è contenuta dall’altra.
Il perché di questo fatto straordinario lo possiamo solo intuire, immaginare, sognare.
Sono solo un essere umano, con tutti i suoi dubbi e le sue paure.

Mi sembra anche che questa raccolta sia un invito ad abbracciare il silenzio…
Il silenzio non riusciamo neppure ad immaginarcelo. Forse non esiste. Quando finalmente ci sarà, noi non ci saremo più…come esseri coscienti, perlomeno.

E di conseguenza è inevitabile non sottolineare quanto la solitudine sia importante in questo ‘immergersi’. Ma che solitudine è?
Una solitudine cosmica, totalmente interna alla molteplicità delle forme dell’esistenza.

Pratichi il ‘wild swimming’; cos’è? E perché?
Si tratta di andare all’acqua come ad un primo incontro d’amore: totalmente ignari e nudi d’esperienza, ma prodigiosamente guidati da una forza incontenibile e misteriosa. Tutto si fa da sé quando siamo liberi da scopi o intenzioni.
Tutto avviene quando torniamo ad essere principianti che si lanciano nel vuoto inesauribile della scoperta.

 

L’autore:
Roberto Cogo è nato a Schio (Vicenza) nel 1963. Si è laureato in lingue e letterature anglo-americane all’Università Cà Foscari di Venezia con una tesi sulla letteratura di viaggio (Jack Kerouac e W. Least Heat-Moon).
Ha pubblicato diverse raccolte di poesie, le più recenti sono “Deora Dé – Fiori d’Irlanda/Flowers of Ireland” edito da Dot.com Press, del 2015, e “Zen garden. Haiku per un giorno” del 2017, autoprodotta.

 

 

 

 

Immagini        ———————

Saturday

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acrilico, inchiostro e gesso su cartone  70×50  2015)

 

 

 

 

Tempo presente       ———————-

E altra è la direzione

Nove inediti

di Angela Angiùli

Faccio del tuo corpo il mio corpo
un pezzo incompleto e monco di materia affamata
un pezzo che piange l’assenza
languisce povertà nel gesto che tutti i giorni si incontra
in quello stesso posto che amiamo
una casa di libri ed un – ciao – ci diciamo, con un nome che passa
tra le nostre bocche e poi basta.
Quel basta che è muro – metro – arrivo
a tutto il dannato infinito che ho dentro, costretto
e che sempre sta scomodo, qui.

*

Tu mi sei dentro
come uno che spinge
una jiad che vuol dire sforzo,
la testa di ariete alle mie porte
che spinge da dentro, non da fuori.
Devo partorirmi ancora
tu sei l’utero, le contrazioni
la vagina stretta da percorrere.
Uno che mi punta la baionetta al cuore
tachicardia che sveglia dal sonno.
“Sarai mia o di nessuno!”
la luna mi è testimone che aspetti la notte
per assediarmi.
Anche la mia ribellione sei tu?

*

Dovresti dire piano
fare gentilezza delle parole dell’amore
e di quel filo d’aria tra i capelli,
oh fa che non si perda
che non cada in frantumi nel rumore.
Guardami nel poco
solo l’indifferenza non ha stupore.

*

E non ci arrivo,
non un grido nella caduta
dopo lo slancio del – …quasi preso! –
ma non ti prendo
forse sfiorato. Bello sfiorarsi, piano,
ma non ci arriviamo
è più facile raggiungersi
nella nostalgia, così profondamente reale
il sogno immodesto che ci abita
che doppia è la vita, se ci pensi.
Verso e recto di una banalissima doppiezza
del volersi e non aversi,
claudicante armonia
di un passo singhiozzato,
una bellezza storta da vigneto che parte in avanti
e poi torna indietro.

*

Per accompagnarti alla Porta

Cinque poesie per L. che sta morendo

Intorno a te
non c’è piede d’appoggio,
dopo il primo sguardo, un sorriso costretto – poi –
si guarda nel vuoto le fughe del pavimento.
Mi tengo aggrappata a un ninnolo, una foto alla parete
due convenevoli di arrivo, poi girovago altrove.
Difficile scandire l’addio della partenza
al tuo corpo sconfitto dalla pazzia di una cellula
col suo – zig-zag – a manometterti il corpo
difficile dire i tuoi occhi di vetro, la faccia di polvere.
Volevi vivere, eppure mai sei stata così Vita
esplosa dentro mille direzioni –
piano ti esploro, ti ammiro ammalata
ora che sei così sete, tutta la sete dell’Uomo.
Sai, stai trionfando davvero
partecipando all’impermanenza, hai una missione spaziale
tu sei prima di noi.
Mia immobile amica, ti amo, rimpicciolita mia piccola
seta, lucente bozzolo
ti stai aprendo nel Nuovo, ricominciando ancora
sempre diversa.
Puoi fidarti – mia cara – che la farfalla ora
sei tu.

*

Ti voglio di vetro
così, illuminabile
lo so che non è elegante morire, ma vedi
le tue cellule vibrano
tu stai decollando da ferma
e altra è la direzione, mia donna senza fine.
Lo so che il corpo non è più quello, bambolina di carta
velo di sposa
ma non ingannarti, è il corpo che mente
sa di dover rimanere, tu no. Fatti spazio
tira fuori dal cuore le ali accartocciate.
Non guardare indietro
fatti freccia – giaculatoria vivente –
vola via.

*

Avrei voluto tenerti la mano
ora che stai morendo
la distanza ci nega
annega il mio pensiero
nel tuo corpo ormai muto
ultimo segno di permanenza.
Per il resto, vedo già il tuo farti
cometa, meteora, materia esplosa
nuovo big-bang di Luce che trapela,
l’ingranaggio si muove e ti aprirai come si apre
un carillon di carta
musica compresa e passi di danza.
Oh non temere, mia stella cadente
non dubitare come si tiene la vita
al sospiro, al battito, al ticchettio
allo stillicidio di goccia
che alfine si staccherà dalla grondaia
e pioverai in mare.
Farò fatica a capirti
così vasta, sarai davanti a me
davanti a tutti noi
in tutto il tuo incontenibile futuro.

*

Ormai hai un corpo sgonfiabile
se togli il lenzuolo;
ti rimangono gli occhi di gufo
le mani sottili,
un respiro che ha lo sciabordio delle maree
e un affanno da corridore all’arrivo.
Sì, arriverà la tua vita a scoppiare in coriandoli,
a tagliare il nastro del –finalmente-
e quel corpo spalancato sarà buccia che si stacca
mostrando all’invisibile il suo frutto.
– Vai – Lori – ora tocca a te! –
Sali sul palco.

*

L’autunno è troppo esplicito,
indiscreto, alza la voce sulla morte
accende i fari dei colori per l’ultimo canto
di foglie gialle che domani faranno pace col terreno
e amen, finiranno.
Qualcosa si staccherà – dov’è il punto? –
lo cerco da una vita e anche in noi
ali sconosciute ci planeranno sussurrando all’aria
una levità sconosciuta.
Finiremo.
O inizieremo, fuori da queste doglie di mondo
fuori da questi solchi di inchiostro,
è allora che l’aria ci terrà nel volo
né più né meno degli aereoplanini di carta
ammaestrati dai bambini.

 

L’autrice:
Angela Angiùli è nata in provincia di Bari nel ‘71, ma vive da molti anni a Bolzano.
Coltiva da sempre in parallelo le sue due principali passioni: la formazione del gusto di vivere negli adolescenti marginali o “difficili” (a scuola o nel volontariato) e la scrittura creativa e poetica.
Le sue poesie hanno ricevuto diversi riconoscimenti (premio S. Sabino di poesia religiosa e premio Mario Luzi).
Alcuni suoi componimenti sono presenti nella raccolta “Parole dell’anima” (ed. Appunti di Viaggio).
La sua raccolta poetica più recente è “Storie di un tempo minore”, edito da Fara nel 2016.

 

 

 

 

Immagini        ———————

The bathers

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acquarello ed inchiostro su carta  73×54  2016)

 

 

 

 

Le altre note       ————————-

Questo forse vuoi per te?

Aldo Becca, “Dali”

di Giovanni Fierro

 

D’ora, stella” è stato l’album che ha portato la giusta attenzione al mondo musicale di Aldo Becca.
Ed ora la sua la sua nuova raccolta di canzoni, a titolo “Dali”, conferma quanto promesso.
Ovvero che Aldo Becca è una delle realtà più belle del panorama musicale italiano.
Perché, anche in queste sue nuove canzoni, c’è la prova evidente di un talento compositivo e di una capacità espressiva ben al di sopra della media.
Perché con voce e chitarra, ma anche electronics e alcuni ospiti, Aldo Becca sa disegnare melodie importanti e destinate a rimanere, sa cucire un tessuto sonoro sempre sorprendente e capace di emozionare.

Il cd:
“Dali” si apre con “Tulipano giallo”, una melodia increspata, la voce femminile dà respiro alla poesia recitata, “finito è il tempo nostro all’improvviso”. In “Vai con la poesia” sentiamo lo stesso Aldo Becca alla radio, bambino di 8 anni, a recitare alcune strofe, e la sua chitarra di adesso pronta a ricamare un caldo abbraccio.
Con “Chiave di volta” l’ascoltatore trova subito la canzone perfetta, il refrain che entra in testa, “tu sei la mia luce, che importa se il mondo rotola, e il vuoto è la sua dimensione”. Qui voce e chitarra sono la preziosità di un semplice momento, dove la creazione musicale è ai massimi livelli. Poi si prosegue con “Il mare, una pozzanghera” altro delicato acquerello dove la melodia cantata è nuovamente protagonista, con una coda finale che trova la sospensione delicata dello stare qui, in questo momento, ad accogliere. Giusto per preparare “Fuoco nero (Fidél)”, canzone intensa e rarefatta, dal finale sonico, segnata dai suoni lancinanti della chitarra.
Perpetua” è un intermezzo, esplora minime variazioni ritmiche elettroniche, sempre in punta di piedi; e continua con “Amico a mattina”, una melodia fischiata su poche note leggere di pianoforte.
A seguire troviamo “Sguardo su Mezzogiorno”, paesaggio sonoro con sax (di David Colohan) ed intermittenze elettroniche, con il respiro delle note di pianoforte (di Pietro Bonanno); viva introspezione su sguardi aperti, una riflessione che si fa con il cuore, quando è caldo.
Anisetta” è chitarra e voce, ed è sempre un prendere per mano l’ascolto e l’ascoltatore, brevissima in poco più di un minuto, ma capace di dire e cantare “chiudiamola/ questa stagione/ senza una malignità/ senza/ una sua dignità”.
E poi si trova “Da lì, Poli Tic, Mai Ali”, intermezzo messo lì a rivoltare l’incantesimo, con i suoi vocalismi liberatori in un patchwork musicale che è un omaggio al giocare.
Esplosione di una bolla di sapone” è quello che promette; riflessiva, malinconica, costruisce un’attesa e poi la rinvia ad un altro tempo, con chitarra, electronics e fieldrecording.
La voce di Aldo Becca in ”Un RE che non è” è un raccontare, sulle pagine di un suono leggermente ondulato a fare da sfondo; quasi una elegia, sembra volersi avvicinarsi alla notte, esattamente “fra quello che è nuovo/ o che non c’è più”.
“Dali” ha poi i cinque minuti sussurrati di “D’Ali”, con un paesaggio sonoro leggero e personale, a firmare lo spazio che qui è contenuto, ad occhi chiusi.
La chiusura dell’album è affidata a “Da principio, (16/8 Cavallo e Farfalla)”, strumentale delicato e fragile, escursione emotiva da fare senza istruzioni.
Aldo Becca, “Dali”. Qualcosa di prezioso.

 

Intervista ad Aldo Becca:

Da cosa nasce questo tuo nuovo lavoro?
Da qualche nastro ritrovato a casa di nonna, da una palazzina sul mare che trema forte una mattina, dalla sensazione di poterci morire appena sveglio ma protetto da presenze spirituali, assenze fisiche, chi abbiamo amato e ci ha segnati.
Ho chiuso con questo un ciclo di tre album sull’idea di casa o domus, cercando qui in particolare di inserirci anche la mia visione di sacro, partendo dalla manipolazione di icone.

Penso che ancor di più del tuo disco precedente, in “Dali” c’è una intimità e una trasparenza che sono la vera forza del disco; può essere così?
Odio tante forme d’arte barricate nella freddezza formale, l’esercizio alla facile spendibilità. Sì, è un lavoro intimo e trasparente, un fantasma, politico.

La poesia è ancora presente, e in modo molto intenso. È sempre un importante punto di riferimento per la tua arte?
Lo è per la mia esistenza Giovanni, ruzzoliamo fuori dalla bellezza quotidianamente in un mondo orribile e assurdo. Per fortuna esiste la poesia, il suo sguardo sa avvicinare le persone in grado di riconoscersi naturalmente.

Anche in ‘Dali’ c’è una alternanza di canzoni e ‘paesaggi’ sonori. È per dare una dinamicità maggiore a tutto il progetto? E quale relazione c’è tra di loro?
Dinamicità e arrangiamento, mi piace calare una parte composta dentro una atmosfera concreta o un paesaggio strumentale, mi piace farlo pensando che la parte composta possa gradualmente svanire, lasciando quel paesaggio reverberare nell’intimità, nell’esperienza personale.
La musica che amo e che cerco va vista, annusata, toccata e gustata, sentirla dipende da questo coinvolgimento dei sensi.

Mi sembra che, rispetto al passato, tutto il disco respiri un tono più riflessivo, più sospeso. Quasi a voler appartenere ad un qualcosa da difendere. Una sensazione, una idea, un sentire……
Posso difendere i miei ricordi e ciò che amo, in nessun modo infallibilmente o per sempre.
Cerco di coltivare come dicevo prima anche un’idea di sacro al di fuori dello storicizzato, dell’assimilato a forza, del mito, dello svenduto, del delegato e amministrato da chi è lontanissimo dalla sua comprensione.

“Tu sei la mia luce”, oltre ad essere la melodia portante della bellissima “Chiave di Volta”, mi sembra possa racchiudere il ‘perché’ di questo disco. C’è un senso di vicinanza, un senso di fiducia. C’è la dimensione umana da cantare e raccontare, mi sembra……
È un piccolo inno all’amicizia, al futuro e alla libertà che dobbiamo imparare a desiderare per chi amiamo, oltre le forme dei rapporti con i loro fallimenti.

Come nasce l’intreccio musica e parole, nel tuo comporre canzoni?
A volte assieme, un suono e un sentire, a volte prima una musica e poi un testo o viceversa, non c’è una regola, a parte forse il non dire o suonare nulla che non sia necessario.

Ci sono anche degli ospiti su questo disco….
Sì, una bella lista di amici, molti musicisti preferiti cui ho chiesto un ascolto, prima che un intervento sonoro. La spontaneità e il trasporto con cui hanno saputo fare quel che doveva essere fatto è una di quelle cose che chiamo magiche. Sapevo che non c’era bisogno di chiedere usando codici o qualcosa di tecnico.

Sebbene molto delicate, queste tue nuove canzoni hanno anche una bella esistenza live. Quale il tuo pensiero al riguardo?
Tornando alla questione dei paesaggi, dal vivo ne esiste sempre uno che mi sta ospitando, quindi lascio solo il mio suonato e calo questi brani in un nuovo contenitore. La questione live per me è sempre stata secondaria al comporre un’opera da quando ho iniziato a dedicarmi alla mia musica.
Ultimamente, grazie a chi mi apprezza mi sento anche meno spaesato nell’esibire queste specie di nudità.

E che musica ascolta adesso Aldo Becca?
Eh, un periodo che… trapano, martello, seghetto, e quando smetto tanti animali selvatici.
Di suonato poco e divinamente, qualche amico misconosciuto meraviglioso, cantautori pochi pochi, molto splendido silenzio.

 

 

 

 

Immagini       ———————

Where is my mind

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acquarello ed inchiostro su carta  75×55  2019)

 

 

 

 

Tempo presente       ———————–

Da un patto illimitato

Due testi

di Luciano Tricarico

 

 

La bellezza

“Istintivamente mi pongo con Paride
prediligendo la promessa di Afrodite
di donargli l’amore di Elena
la più bella fra i mortali”

Della bellezza mi piace la manifesta vanità
perché mai non dovrebbe?
la sua sola presenza è intollerante
a chi non può competere
l’inutile gelosia di chi è umiliato

La bellezza nasce da un patto illimitato
fra tutti gli elementi
cosa le importa di misere angherie
le maschere le lascia al carnevale degli incolti

La bellezza non la interpreti da metafora
forse ti tocca se la sorte ti sorride
il più delle volte l’osservi da lontano
il palmo può chiederla non appartenergli

La bellezza ha le forme dell’acqua
comunque la si ponga non svanisce
non si accartoccia come un sacchetto vuoto
gettarla per la strada come una puttana
in atto dispregiativo sfigurarla
nessuno strappo la fa appassire

La bellezza è una storia vuota
se non quella cruda e retorica dell’uomo civile
è la linea retta dell’eternità
il passato lo attraversa al presente
saltando a pie pari il futuro
immutata quando l’uomo sparirà

La bellezza è senza memoria
provatela negli occhi di un bimbo
ora è così dopo è un’altra bellezza
un giorno di sole non sarà lo stesso domani
la bellezza di una donna si scopre
cangia, muta e si festeggia nel momento in cui è
non vuole giorni fissi o date da ricordare la bellezza
ti dice dimentica, vivi, cambia prospettiva

“lascia in pace i morti”

Descriverla la bellezza
nemmeno i sontuosi poeti poterono molto
la parola è un linguaggio primitivo
i pittori, si forse qualcosa, non il soffio del vento però
l’odore della salsedine il rombo dell’onda
cosi come la fotografia la blocca incompleta
il video moderno qualcosa di più
ma pur nel limite di un artefatto troppo puro

“La bellezza non si interroga
è scettica, irrazionale, prepotente, egocentrica
frivola, suscettibile, sbarazzina, maliziosa…
è gelosa e vendicativa, divina regina
ti straccia il cuore su cui incidevi una poesia
e per questo l’ami”

La bellezza è cosciente della propria gloria
incute paura, si glorifica nei silenzi
è un bisogno, l’eternità che si contempla allo specchio
è vita quando così si chiama
per quanto a volte disonesta si dice amica, amante
“poi tradisce”
ma la colpa ricade sul capo che non l’ha domata

La bellezza non ha bisogno di spiegazioni
o di formule scientifiche e l’equazione perfetta per definizione
non si accomoda su qualsiasi sofà
sta in piedi ritta e aspetta chi può permettersi di comprarla

*

L’amore zoppo

Cammino sul marciapiede lungo la sponda del mare
cammino e ti dimentico
schivo chi incontro, proseguo avanti
ne scendo all’incrocio di una coppia
non voglio riconoscere in lei gli occhi tuoi
Mi costringo a guardarlo il mare
e il cielo che cade in esso
e le onde che lo scacciano sulle rive
e le stelle che non vogliono abdicare
cammino e vorrei dimenticarti
ad ogni passo mi allontano da te
ad ogni curva mi avvicino a te
ed è inutile nuotare controcorrente

La distanza è nulla sull’aggeggio moderno
“fra poco sarò da te se mi accogli”

E il cuore sobbalza, si strappa e si getta nel mare
e schizzi di luna illuminano gli scogli
e canta sull’onda il mio diritto
e divengo statua di sale senza respiro

“allora sei tu ed io sono e noi siamo
e ti bacio prima che tu sia
prima che il sogno sia materia”

e mi perdo nel tuo sguardo
e muoio in milioni di sguardi
e sono dappertutto e da nessuna parte
e sono un poeta e scrivo milioni di parole
e sono nessuno e più di una moltitudine

E sei la luna e sei il sole
e sei la galassia e l’amore breve
e nessuna ti somiglia e tutte le donne sono te
e sfioro la tua pelle di luna
e ti vedo nuda e trasparente
e respiro e sono felice
e verso l’isola nuota il mio cuore
e ti attendo nella notte

e poi… ”scusa ho sbagliato”

serro i pugni e corro a riprendere il cuore
non torna, offeso, geloso, irascibile
deluso, triste, sconfortato, non torna
in un nero di seppia l’isola svanisce
non torna, si spinge al largo e si lascia affondare

Ti amo e non m’ami, dovrei averlo capito
quando dicesti ti stimo ma non ti amo
sei un uomo vero ma non ti amo
ogni donna ti vorrebbe ma non ti amo
sei quello giusto ma non ti amo
l’amore da solo non sta in piedi
è monco di una gamba
e non vi è protesi a sostituirla
è un amore zoppo è un amore illuso

Ma l’amore è un brigante
non rispetta le tue leggi
arde di suo così come il cuore agisce di suo
mi scrivi che è una coincidenza
non rispondo, penso al destino
scrivi ancora che è strano
mi viene in mente Isaia
<le mie vie non sono le vostre vie
e i miei pensieri non sono i vostri pensieri>
sì è vero l’amore è strano
e cammino e ti vorrei dimenticare
e scanso le persone e scendo dal marciapiede
e spero che negli occhi di chi ti accoglie
ti perderai nel mio sguardo

 

Luciano Tricarico, “fra poco sarò da te se mi accogli”

di Ilaria Battista

Elegantemente algida.
A prima lettura la poesia di Luciano Tricarico ricorda una statua neoclassica.
Elegante, preziosa, armonicamente pulita, e con la sensazione che stia celando qualcosa.
Ad una prima lettura.
È solo dopo, quando le parole si svelano, che si intravede la passione che scivola nascondendosi tra i versi, e si rivela fiammeggiando all’improvviso.
Come se l’autore avesse cercato di domarla, questa passione, avesse cercato di darle una forma, di contenerla in versi ricercati, per imbrigliarne la capacità distruttiva.
Ma anche come se le avesse concesso allo stesso tempo una via di fuga, consapevole che nemmeno le parole possono tacere il furore che ci fiammeggia dentro.
Così la bellezza, dono degli dei, figlia di un patto illimitato tra gli elementi, cosciente della propria gloria, divina regina, gelosa e vendicativa, straccia il cuore del poeta di cui si diceva amica.
Tradisce i suoi silenzi, ma la colpa è di chi non ha saputo domarla, perché in fondo la parola è un linguaggio primitivo.
Così l’amore cammina zoppicando lungo marciapiedi che vorrebbe sconosciuti, ma pur nuotando controcorrente ad ogni curva si avvicina a quello sguardo che non può dimenticare.
Perché l’amore è brigante, non rispetta le leggi, si illude di aver trovato un ordine, ma poi il cuore sobbalza, si strappa, si getta in mare, e non torna, non torna più indietro. Offeso, geloso, triste, sconsiderato, svanisce nel nero di seppia e si lascia affogare.
Non affogano invece i versi di Luciano Tricarico, tornano elegantemente in superficie, si intrecciano alla passione e provano a domarla, di nuovo, sapendo che li sfiderà di nuovo. A dimenticare, a vivere, a cambiare prospettiva.
È il destino di un poeta, morire in milioni di sguardi, scrivendo all’universo milioni di parole.

 

L’autore:
Luciano Tricarico è nato a Gallipoli, nello splendido Salento, nel 1962.
È autore della raccolta poetica “Alterni momenti” edita da Sovera edizioni, ed è presente in varie antologie con poesie e racconti brevi.
Dopo cinquant’anni di permanenza in Friuli Venezia Giulia, ha deciso di ritornare alle radici salentine.

 

 

 

 

Immagini    ———————

Don Quixote

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acquarello ed inchiostro su carta  71×53  2017)

 

 

 

 

Tempo presente         ————————-

Di passeri e merli

Un racconto

di Roberto Lamantea

 

Abito in una cittadina di 30 mila abitanti, Mirano, ricca di parchi del Seicento e del Settecento (quattro sono pubblici) realizzati dalla Repubblica di Venezia, giardini pubblici e privati, viali alberati. Mirano è classificata tra le città più verdi d’Italia. Intorno c’è la campagna, per quanto urbanizzata.

In un luogo così, il rapporto con la natura dovrebbe essere spontaneo e abituale. Ma dove sono finiti i passeri? E i merli? Avevo fatto “amicizia” con un merlo maschio, veniva a trovarmi sul terrazzo, sapendo di trovare cibo, qualche volta è entrato anche in cucina. Credo che mi conoscesse, certo era sempre lo stesso. Da almeno tre anni passeri non ce ne sono più. Mi accorgo che sono spariti anche i merli, ce n’erano tanti, qui sotto.

E mi accorgo che non ci sono più neanche i pipistrelli, animali – oltre che protetti – che sono i migliori nemici delle zanzare.

In parco ai passeri davo briciole di pane, venivano anche in mano. Come nelle fiabe o nell’icona del vecchietto solo, che non ha più nessuno e per amici – appunto – i passeri dei giardini.

Non ci sono più, i passeri, né i merli, né i pipistrelli, in una delle città più verdi d’Italia.

Mi viene da piangere, perché io in un mondo così non voglio vivere. Sono a rischio l’80% delle specie animali, mari e oceani sono invasi dalla plastica, l’aria è veleno.

Lo so benissimo di essere anormale: amo ancora le fiabe, i vecchi libri dalla carta color tempo, i vecchi acquarelli, le penne stilografiche, i pennini e le boccette d’inchiostro; il silenzio, amo tanto il silenzio, e la pioggia – nemmeno quella c’è più, ci sono tornadi, nati dal cambiamento climatico.
E amo la natura: amo gli animali. E gli animali stanno sparendo (e nonostante questo ci sono i cacciatori che se potessero andrebbero a caccia anche con mitragliatrici e bombe).

Dove sono finiti i passeri? E i merli? Mi mancate.

 

L’autore:
Roberto Lamantea è nato a Padova nel 1955, ha trascorso infanzia e adolescenza tra il Friuli Venezia Giulia, la Liguria e il Lago Maggiore.
Vive a Mirano. È giornalista, critico letterario e di danza. Dal 1989 è redattore della “Nuova di Venezia e Mestre”.
Ha pubblicato diverse raccolte poetiche, la più recente è ”Delle vocali l’azzurrità”, edita da Manni, nel 2013.

 

 

 

 

Immagini      ———————

Intimacy

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acrilico su cartone  100×70  2017)

 

 

 

 

Tempo presente      —————————

Niente è obbligatorio

In sette parti

di Simona De Salvo

 

1

Stavo cercando un rossetto, ho ritrovato il referto della morte di mio padre. Arresto cardiaco di paziente affetto da malattia infettiva. Incollata al referto, una carta di caramella rossana. Ho pensato a quando camminavamo nei campi, in mezzo alle angurie, con le spalle nere, io già alta, lui zoppicando. Poi con una flebo e un tubo nelle narici. Alla fine sdraiato e freddo con la faccia come un cespuglio di lavanda.

2

Devi scoprire i campi gelati
in auto verso la città
le cascine su strade invisibili
l’assenza di stelle
e di punti di riferimento
non ci sono segni che il mondo è abitato
ti si vede il fiato
nessuno esiste veramente.

3

Quando ti giri e non vedi la terra
ma uno spazio nero
ti mancano i confini
come quando
hai lasciato
la bici
vicino a un campo
sembra oggi
senza maglietta
chissà cosa pensavano
quando tornavano
dopo il lavoro
con la birra in mano
gli operai
era un gioco
potenzialmente
essere tutto
avere il mondo davanti
essere immortali.

4

Se accendi una sigaretta in casa, resta l’odore per due giorni: vuol dire che è finita un’epoca. Cos’è un’epoca? i mezzi di comunicazione mi terrorizzano: è obbligatorio comunicare? cosa è obbligatorio e cosa è facoltativo? niente è obbligatorio direbbe l’analista. Arrivederci, risponderei io. Il mare delle nove di sera che ci guarda come un fratello, con gli occhi rossi.

5

Viaggiando per lavoro, mi trovo in mezzo a campagne mai viste. Prendo qualche strada sterrata. Le risaie si asciugano, sembra un bellissimo western. Non incrocio nessuno. Vorrei fermare la macchina nel primo posto utile, ma ho le mani come incollate al volante e vado sempre avanti.

6

Dopo qualche mese
lei sognava di vederlo salire su un aereo
tra le nuvole,
ma si sbagliava
l’unico rumore era quello della lavanderia
di una fabbrica.
Succedeva in inverno
era senza indicazioni
i cartelli coperti di neve
la rendevano
una faccia disabitata.
Un poema letto a tavola, bianco e rosso
tradotto così:
bicchieri di carta
come una forma
di lusso
natalizio, una confidenza,
avevo perfino la tentazione
di chiederle cosa fosse l’amore
solo perché mi mancava.

7

Torno a casa guidando, è notte. I lampioni non esistono. I fari delle macchine che illuminano il nulla, il nulla di una serie di curve. Sembra il nulla di un videogioco. Se sterzi troppo, potresti schiantarti contro un guardrail, le macchine dietro di te taglieranno il traguardo al terzo giro. Né macchine né le luci sembrano reali. Probabilmente se mi giro, c’è mio padre con un joystick in mano, concentrato a non uscire fuori strada. Non è reale. Con la scritta rossa sullo schermo, aspettando che gli altri finiscano.

 

Simona De Salvo, in questo momento

di Giovanni Fierro

Reputo “La camiceria brillante dei miei anni” di Simona De Salvo uno dei libri di poesia più belli tra quelli pubblicati negli ultimi anni.
Un libro che è un continuo dialogo aperto, con ogni minima attenzione capace di rivelare un qualcosa di significativo. Pagine che possono tranquillamente trasformarsi in cortometraggi.
E il senso cinematografico della scrittura di Simona De Salvo lo troviamo anche in questa selezione di suoi testi, apparsi in ordine sparso in alcuni suoi post, e qui raccolti a fare un nuovo passo della sua intrigante e fine poesia.
Campi e controcampi, flashback e primi piani, interni ed esterni.
Continua la fascinazione del suo scrivere allo sguardo cinematografico, nutrito anche da una rara sensibilità fotografica.
Sette parti di un “Niente è obbligatorio” che portano il lettore nel cuore pulsante di un narrare che attinge alla propria biografia, ma che ha la forza e la naturalezza di ampliare orizzonti e introspezione.
Il padre, la macchina che corre, i campi, la casa. Sono queste le coordinate di questo rinnovato scrivere di Simona De Salvo, sempre alla ricerca dell’immagine che dice e coinvolge, che ti fa notare che “era senza indicazioni/ i cartelli coperti di neve/ la rendevano/ una faccia disabitata”.
Sette momenti, sette fotografie dove la sospensione (sensoriale? di giudizio? di futuro?) è il luogo narrativo che accoglie e svela le domande che hanno il talento di non avere risposte. Il nervo teso di ciò che siamo, forse. La paura rinviata a cui siamo destinati, di sicuro.
Perché questi testi si accendono di una atmosfera che tutto assorbe e tutto nutre, dove “Il mare delle nove di sera che ci guarda come un fratello, con gli occhi rossi”.
Il mondo è qui, in questo “Niente è obbligatorio”, con i suoi inciampi e le sue intuizioni.
Grazie a Simona De Salvo e al suo fare dello scrivere un documento di appartenenza.

 


L’autrice:
Simona De Salvo (Fiorenzuola D’Arda, 1993) si è laureata in filosofia presso l’Università degli Studi di Pavia.
Una sua prima raccolta poetica, “La memoria”, contenente testi giovanili, è uscita per Sigismundus Editrice nel 2013.
Il suo secondo libro pubblicato è “La camiceria brillante dei miei anni”, edito nel 2016 da Marco Saya edizioni.

 

 

 

 

Immagini      ———————

Good evening

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acrilico, inchiostro e gesso su tela  130×130  2016)

 

 

 

 

Attraversamenti       ———————

Danijel Dragojević

Una poesia

di Alessandro Salvi

(Cinque poeti croati, presentati uno per volta in prima traduzione italiana a cura di Alessandro Salvi. Terza puntata)

 

Tutti concordi ormai nel definirlo il maggior poeta croato vivente. In poesia ha esordito nel 1961 con “La tartaruga e altre zone“.
Danijel Dragojević (1934), non ama apparire in pubblico, non fa parte di nessuna associazione di scrittori, non presenta né promuove in alcun modo i propri libri.
La foto qui sopra è stata scattata dal fotografo Feđa Klarić, in Via Marmont a Spalato nel 2010. Quando il poeta notò la macchina fotografica non esitò un attimo e se la diede a gambe levate nonostante i suoi 77 anni.

 

di Danijel Dragojević:

La gente dorme

La gente dorme scalza.
Così entra nella notte,
così entra nel sogno,
come una foglia che
ha appena smesso di fremere.
Dimentica perché,
dimentica tutto,
senza alcunché si arriva lì
dove si sono avviati.
La gente dorme scalza,
lievemente si appoggia
all’universo, al suo
vicino e lontano.

Ljudi spavaju

Ljudi spavaju bosi.
Tako ulaze u noć,
tako ulaze u san,
kao list koji je
upravo prestao treperiti.
Zaboravljaju zašto,
zaboravljaju sve,
bez ičega se stiže tamo
kamo su krenuli.
Ljudi spavaju bosi,
blago se naslanjaju
na svemir, njegovo
blizu i daleko.

 

Il traduttore:
Alessandro Salvi è nato a Pola, in Croazia, nel 1976, e vive a Rovigno, in Istria.
Ha pubblicato le raccolte “I fiori nel mare” (2011), “Rominjaju mravi mesožderi i druge sitnice” (2011) in edizione bilingue italiano-croato, “Santuario del transitorio” (2016).
Suoi testi appaiono anche in diverse antologie e opere collettive.
Suoi scritti sono apparsi anche su riviste e litblog.
Il suo libro più recente è “Poesie scritte sul retro di scontrini”, Fallone Editore 2018.

 

 

 

 

Immagini       ———————

My new house

Otto dipinti

di Jaśkowiec

(acquarello ed inchiostro su carta  56×54  2019)

 

Intervista a Jaśkowiec:

di Giovanni Fierro

La tua arte parla del nostro presente. È un tuo desiderio, oppure è un qualcosa che vivi e non puoi controllare?
Non posso evitare a me stesso di fare riferimento al nostro tempo presente. Alcune volte mi piacerebbe dipingere qualcosa di ‘bello’, sia per me che per il mio pubblico, ma non ci riesco.
In pratica è questa la risposta alla tua domanda.
Viviamo in tempi fantastici. Molto tempo fa ho abbandonato la pittura ornamentale, l’ispirazione e i trend imposti dalle varie gallerie d’arte, etc…
Ovviamente era quella la via più facile per il successo; ma, come dice un mio amico, la vita è troppo breve per essere consumata a guardare i fiori belli.
Sto pagando per la decisione che ho scelto – o, piuttosto, che mi ha scelto – ma non voglio cambiarla per nulla al mondo.
E in pochi anni, stando di fronte ad uno specchio, penserò “avevi un qualcosa di importante e forte con il quale poter persuadere e fermare le persone all’attenzione della tua arte; e dare loro qualcosa, farle notare alcuni problemi, seminare i semi del dubbio, o addirittura cambiare qualcosa nella loro percezione del mondo”. C’è qualcosa di più bello?

Che tipo di silenzi vivono nei tuoi dipinti?
Guardo la realtà su di un rotto televisore a colori, che perde suono e immagini. Il mondo sta diventando sempre di più quieto e senza colori.
È un silenzio onirico, mistificante e molto rumoroso. Il silenzio prima della tempesta. È un penzolare costante ad aspettare che qualcosa succeda. Questo silenzio è la battuta finale, c’è una scintilla di speranza in esso. È l’ingresso ad una intera nuova conversazione. Ci vuole molta sensibilità per vederla, lo sto scoprendo da me. Senza musica non c’è silenzio.
Sto finendo la mia versione di ”Colazione sull’erba” di Manet, che probabilmente risponderà perfettamente a questa domanda. È fantastico.

E la tua arte ha anche qualcosa in sé di politico, giusto?
Devo dire che non ho interesse nella politica, ne vado oltre. Naturalmente, quando si toccano alcuni problemi, ci finisco dentro, come mi succede con la religione, la morale, la scienza, la spiritualità….
I miei sono temi semplici: amore, solitudine, crimine, povertà, malattie mentali….
Pe esempio, ho fatto un dipinto, dal titolo “Intimacy” (presente in questo numero di Fare Voci ndt.) che si è guadagnato un riconoscimento. E raffigura due amanti nel letto; alle loro spalle, fuori dalla finestra, c’è una cupa e grigia città, con fabbriche e ciminiere.
Uno sguardo li sta spiando attraverso la finestra. E a proposito di questo ho ricevuto molti commenti che parlano di sorveglianza, di controllo, di totalitarismi, etc..
Ma nessuno mi ha chiesto perché non ci fosse una tenda alla finestra, perché non l’abbiano coperta, che è un qualcosa che avrebbero potuto fare.
Ciò che mi terrorizza è il come sia facile, per una parte della società, essere manipolata da un gruppo di persone; il come alcune persone perdano il loro personale giudizio, di come non riescano a vedere i problemi reali. Ma questo sta cambiando; i miei quadri sono stati notati.

I tuoi dipinti vivono di pochi colori, perché?
Il modo più semplice per risponderti è comparare i miei dipinti alla musica.
Oltretutto, i dipinti, la letteratura e la musica devono compenetrarsi.
Il ritmo è molto importante per me. All’inizio partiamo con il conoscere tutte le note, le impariamo, diventiamo familiari all’utilizzo di diverse tecniche. Questa è la base.
Poi, quando iniziamo a creare, gradualmente buttiamo via gli stili non necessari e ciò che è di troppo; desideriamo raggiungere la semplicità, la purezza dell’emozione e del messaggio.
Questo vale per me. Dell’intera gamma di colori ne uso diversi, combinati con l’emozione e l’espressione.
Penso che questa sia una combinazione che funziona. Una semplice e pura melodia.

Quali le emozioni che stanno alla base della tua arte?
Difficile trovare una risposta. Penso di essere tormentato da tutte le mie emozioni, dai miei sentimenti. Penso che l’emozione principale sia la protesta, il mio essere in disaccordo con alcuni dei nostri comportamenti.
Posso essere felice su una spiaggia, quando altre persone vengono uccise sulla costa opposta?
Posso ignorare i malati e i poveri, e lasciarli fuori dalla mia arte?
È semplicemente una questione di gusto e sensibilità. Non vorrei parlarne oltre, tutto ciò si vede nei miei dipinti, e ne pago il prezzo….

È difficile trovare della speranza nelle tue tele…
Sì, è così. Le civiltà si sviluppano e collassano; non siamo i primi, e non saremo gli ultimi.
Penso che tra noi siamo semplicemente così collegati che, a parte cose meravigliose come l’arte e la scienza, inneschiamo guerre ed uccidiamo.
Posso sperare che arrivi una giustizia, e che i poveri possano ereditare la Terra? Nonostante tutto, c’è un piccolo barlume di speranza; chiunque è mosso dalla mia arte e si ferma a pensare, accende quella scintilla. Questa nostra conversazione ne è la prova. Grazie mille.

 

L’artista:
Jaśkowiec (Marek Jerzy Jaśkowiec) è nato a Myslenice, vicino a Cracovia in Polonia, nel 1974.
Ha studiato “interior design”, architettura e pittura (a Cracovia, 1999-2003).
Artista indisciplinato, ha cambiato diverse scuole e workshop.
Ma, come ha affermato, rispetta l’eredità dell’arte accademica.
Ha scelto per la sua arte una completa e indipendente libertà creativa.
Vive in vari paesi e città. In passato in italia, in Svezia e in Inghilterra.
In programma ha diverse mostre personali, in Polonia, Germania, Inghilterra, Svezia e Giappone.
Suoi dipinti sono ospitati in diverse collezioni private e in musei, in giro per il mondo.

Il suo sito: https://www.jaskowiecgallery.com/

 

 

rivista Fare Voci

curata da Giovanni Fierro

collaboratori:
Roberto Lamantea, Salvatore Cutrupi, Ilaria Battista
Alessandro Salvi, Livio Caruso, Guido Cupani, Antonello Bifulco.

 

 

 

 

 

 

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