Fare Voci ottobre 2019

L’autunno appena iniziato porta nuove intriganti e necessarie letture.
Ad iniziare da Marco Di Pasquale e il suo nuovo “Dai sentieri divorati”, libro che trova il nervo del nostro giorno.
La voce d’autore è anche quella di Anna Rizzardi e della sua raccolta “Il silenzio bianco”, indovinata ricerca poetica; ed è anche quella di Francesca Piovesan, che con “Il buio della scarpiera” ha trovato pagine di intenso svelamento.

Il tempo presente è nell’ospitare un grande poeta bulgaro, Alexander Shurbanov, che dà a questo numero un respiro ancora più prezioso e internazionale; assieme agli inediti di Isabella Serra, voce di particolare incisività.

E in questo numero potete anche conoscere il lavoro pittorico dell’artista Hamed Darek, dall’Afghanistan. Per lui una serie di sofferti ritratti, “Doppio sogno“.

Buona lettura.

Giovanni Fierro

(la nostra mail: farevoci@gmail.com)

 

 

 

Immagini      ————————–

Doppio sogno

Sette quadri

di Hamed Darek

(2019, olio su tela, 50×70 cm)   (2019, olio su tela, 40×50 cm)

 

 

 

Voce d’autore      ——————–

Il suono crollato

Marco Di Pasquale, “Dai sentieri divorati”

di Giovanni Fierro

 

Ci sono autori che immergono il proprio scrivere nel tempo presente e lo fanno in presa diretta.
Autori che con impegno esplorano la nostra società e il nostro quotidiano.
Marco Di Pasquale con la propria poesia fa esattamente questo, e il suo nuovo libro “Dai sentieri divorati” ne è l’eccellente testimonianza.
Uno scrivere quindi che con ogni testo scava oltre la crosta dell’apparenza, ne cerca l’intimo livore, ne rivela il meccanismo e ne riconosce la bellezza, quando è innesco di vita.
Le poesie di “Dai sentirei divorati” si nutrono di questo, sanno che è un lavoro difficile il “restiamocene al vento a rovistare”, ma che solo così si può trovare la giusta misura e non essere impreparati al qui ed ora.
Perché poi Marco Di Pasquale offre al lettore pagine che sono paesaggi dove il lettore si addentra, si confronta, paesaggi che sono tele narrative dove “mia madre ha stinto capelli e idee” e che “una volta scaduti i gesti/ non s’è avverato il tocco”.
E sempre più l’autore sottolinea questo nostro bisogno, ma quasi ormai dimenticato, di una calorosa vicinanza umana, nell’attenzione dello stare dentro allo sguardo altrui, anche solo per accorgerci che “mi hai stretto nel ricamo delle foglie”. È un continuo cercare una luce a cui appartenere.
Intanto, come primo passo, è importante riconoscere che “negli oggetti c’è il suono/ dei nostri pensieri”; così possiamo riformulare dinamiche e pronunce, con il desiderio di rimetterci in gioco. Ogni cosa svela un po’ di noi.
È molto bravo Marco Di Pasquale nello scrivere di tutto questo. La sua testimonianza di poeta è attenzione rivolta ad ogni singola persona, alla società.
Perché sì, questo libro è un’avvertenza, un monito a non ignorare il pericolo più grande, “scordarsi di sopravvivere”.

 

Dal libro:

Il suono crollato

sta dentro l’angustia
quel suono crollato
che annuvola i domani
coagula parole luci
senza chiarire, desolato

*

Gotico familiare

se la chiave si impasta rifiutando
ogni pacata lusinga
restiamocene al vento a rovistare
tra le costellazioni mai contate
puntiamo il dito nella fessura tra le ossa
dove preme il respiro

mio padre stringe le rughe bruciate
per distinguermi dall’alba pallida
mia madre ha stinto capelli e idee
io volto le spalle e fisso la pianura
si annodano le speranze e la valigia pesa

*

c’è chi là progetta il futuro, qui ci siamo noi che ristrutturiamo il presente con prospettiva di minuti e virgole, una cagnara continua con il labirinto, latrando proteste che hanno già prodotto un questionario di noie e un ingiunto trasferimento nel disagio
da questa angolazione almeno la pioggia ci ha capito ed ha appannato le vibrazioni con una sfoglia di grigiore, affinché si sciolga sul lastricato la rimanenza di trucioli ricci di castagna sterpi che incagliano il mattino

*

Punto di luce

sto affondando nel fresco delle luci ferme
come una foglia che ripete le cadute e poi
si congela dentro uno strato di autunno
che anticipa ed aggrinza

ogni nota si tiene al bordo
per non capovolgersi nel suo futuro
e sembra che si spogli il giorno
verso il punto di luce che rincuora

 

Intervista a Marco Di Pasquale:

Mi sembra che, alla base di questo tuo nuovo lavoro, ci sia la volontà di andare a scavare nel nostro tempo quotidiano, di parlare della nostra società mettendo in risalto i sui nervi, ciò che solitamente è nascosto e forse occultato. Può essere così?
Questa osservazione corrisponde sicuramente al vero. Più rileggo “Dai sentieri divorati”, più mi accorgo che la dimensione sociale, di analisi e critica del reale è l’energia pulsante che fa scaturire i testi, che vorrebbero essere un disvelamento, uno scoperchiamento dei nervi, di tensioni e contraddizioni del nostro presente. L’obbiettivo è in fondo scrollarci di dosso ogni finzione, tanto da confrontarci schiettamente coi nostri fantasmi, interiori e di comunità.

Nei due testi ‘Punto di luce’ e ‘Mani suonano’, è evidente il desiderio di ‘luce’, appunto; un qualcosa che aiuto a vedere meglio, a portare all’evidenza ciò che abbiamo sotto gli occhi e di cui non ci accorgiamo…..
Fin dalle mie prime prove di scrittura la funzione gnoseologica svolta dalla luce è stata fondamentale, poiché rappresenta la certezza, la chiarificazione e la mezza in evidenza dell’onestà.
Come in uno spietato mezzogiorno, i raggi di luce vanno ad insinuarsi in ogni angolo ambiguo, combattono la reticenza delle cose e ci restituiscono un mondo meno insicuro, seppur nella sua cruda verità. Ecco, forse la luce è lo strumento che mi slancia verso una sempre anelata verità.

È anche un lavoro che tramite la scrittura parla della fragilità umana. È un qualcosa da difendere? È da ‘guarire’?
Da sempre credo che la fragilità sia un valore inequivocabile da salvaguardare con tutta la resistenza di cui si è capaci.
E nella poesia, parola che si consuma nella sua estenuante tensione conoscitiva e si nutre di parole e simboli fragili, sempre in bilico, abbiamo l’obbligo di comprenderne il valore fondante e le molteplici potenzialità.

Ci sono anche delle parti in forma di narrazione, come mai?
Spesso, nella scrittura in versi, per raccontare con un dispiegamento di immagini più arioso, ho sentito la necessità di spezzare il vincolo del verso e lasciar scorrere le parole secondo la loro volontà.
Questo è successo anche a causa della forma di comunicazione coi miei lettori che uso da ormai undici anni, cioè il blog, una pagina aperta, un campo di lavoro e di ricerca che permette, oltre al confronto diretto e interattivo, la possibilità di guardare ad incroci di stili, a contaminazioni che mi hanno molto soddisfatto.

C’è un senso di pericolo che affiora in ogni pagina, basta pensare ad un passaggio come “d’amore che morde/ fino allo strapiombo”, oppure “diventa assai esile il nervo/ che ci collega alle persone” (anche qui il nervo è in evidenza…). È l’atmosfera in cui ognuno di noi è immerso?
Esattamente. L’aria che respiriamo, gli avvenimenti che ci coinvolgono, le relazioni spesso sono brutali, a volte cariche di aggressività, per cui spesso ci scontriamo con la realtà. E questo impatto, a volte doloroso ma altre molto intenso e pulsante, deve essere raccontato dalla poesia.

Queste poesie sono anche una interessante scrittura di immagini, paesaggi nei quali addentrarsi, dai quali farsi assorbire. È una delle prerogative del libro?
Da sempre uno degli obiettivi principali che mi pongo nel mio lavoro creativo è quello di condensare la parola in immagini forti e impressive, che avvolgano il lettore e restituiscano almeno una parte dell’emozione che le ha prodotte, che spesso è quella visiva. Mi sembra di potermi definire un testimone oculare delle vicende umane, e se riesco a creare questa sensazione ibrida di parola che rappresenta, che dipinge o che fotografa l’esistenza, credo di aver raggiunto lo scopo.

 

l’autore:
Marco Di Pasquale è nato a Ripatransone (AP) nel 1976, vive a Macerata.
È animatore culturale e divulgatore letterario nelle associazioni “Licenze poetiche”, “ADAM” e “UMANIEVENTI”.
È stato direttore artistico del Festival “Rampe per Alianti” (2005-08) e di “PoesiaLeonisMinifest” (dal 2009). Ha pubblicato le raccolte poetiche “Il fruscio secco della luce” (2009) e “Formula di vapore” (2017).

www.marcodipasquale.wordpress.com

(Marco Di Pasquale “Dai sentieri divorati” Transeuropa, pp. 54, 15 euro, 2019)

 

 

 

Immagini       ————————–

Doppio sogno

Sette quadri

di Hamed Darek

(2019, olio su tela, 80×100 cm)

 

 

 

Tempo presente       ————————-

Noi che non sappiamo difenderci

Sei inediti

di Isabella Serra

 

Sollevandosi l’ora
nello spazio di una volta
si consuma il tempo
e si aspetta l’onda
rovesciare addosso i suoi tonfi,
si pensa
che la risacca si porti via l’acqua
continuamente mossa.

E invece il mare si rompe.

*

Siederebbe vastità
a vestire queste onde,
se sapesse
di che colore stendere
i drappi del suo tulle.

Io credo che staccata
sia l’anima
dal suo creatore
che all’unisono batte
il cuore del mare.

*

L’amore quando viene
ti sorprende
e ti raccoglie
a un pelo dal burrone.
Ma diffidando forse
del suo stesso miraggio
ad una certa prende il largo.

Lo si ritrova danzando su un prato
disteso a fumare
e a rimirare il suo vasto cielo stellato.

*

Noi che non sappiamo difenderci,
noi dalla mente loggata e slogata,
patrimonio di molti,
senza aspetto
come i colori dei sali da bagno,
noi che ci formiamo
sulle orme addossate ai muri,
come muschi,

la questione si sposta alle fronde,
alle braccia ondulanti che tendono.

*

Tu mi fai compagnia
bocca di rosa imperfetta,
tu così esposta,
nella mia assenza tu mi noti
dove nessuno sa trovarti,
perché vuoi mostrarti
a me
così dimessa e bella.

*

Mi è rimasto dentro
Il sapore del mare in bonaccia,
lo stesso odore salmastro
del mare in burrasca.

Nuotando voracemente
o facendo il morto
riconosco la stessa specie.

 

 

L’autrice;
Isabella Serra è nata in Trentino, vissuta in Sardegna, ha abitato a Londra, Venezia, Udine, Mosca, Milano. Attualmente vive e lavora a Trieste.
È laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia con specializzazione in lingua e letteratura russa.
Ha tradotto in italiano “La forma dell’Anima” di Andrej Tarkovskij (Rizzoli 2012), “La mia vita nel teatro russo” di Nemirovič-Dančenko (Dino Audino Editore 2016), “Anna Karenina” (Cult editore 2010).
Ha collaborato come articolista sezione poesia e letteratura russa per Edizioni Ares (Milano), collabora per la rivista on line Pangea.news (http://www.pangea.news/).
È stata menzionata al Premio Poesia Camposanpiero, dicembre 2018 e al Premio Inedito Colline di Torino, sezione poesia, maggio 2016.
Ha pubblicato “Notte” per Raffaelli Editore, nel 2016.

 

 

 

Immagini      ————————–

Doppio sogno

Sette quadri

di Hamed Darek

(2019, olio su tela, 50×40 cm)

 

 

 

Tempo presente        ————————-

Foresun, Primosole

Quattro poesie

di Alexander Shurbanov

 

GETTANDO I RIFIUTI
stamattina
mi metto in fila
dietro a un tale
che fruga nel cassonetto.
La testa e il capo
vi si immergono fino alle spalle.
Sto guardando la sua schiena
vestita con una giacca di seconda mano
e le sue gambe – scheletriche,
sollevate in punta di piedi.
Sarebbe un po’ inopportuno
spingerlo da parte:
potrebbe avere appena trovato
quello che cerca.
E la mia borsa di plastica,
gonfia degli avanzi di ieri,
pesa nella mia mano
come la sacca di un ladro.

ИЗХВЪРЛЯЙКИ БОКЛУКА
тази сутрин,
чакам на опашка
зад онзи,
който рови в него.
Главата и ръцете му
до раменете са в контейнера.
Пред мене е гърбът му
в яке втора употреба
и краката – тънки,
повдигнати на пръсти.
Неудобно ми е някак
да го изместя –
може би току-що е намерил
каквото търси.
А натъпканият найлон,
издут от вчерашни излишества,
тежи в ръката ми
като торбата на разбойник.

2002

*

L’ASSASSINO

Come a tuffarsi in una colata di lava ardente,
mi immergo nei versi di un poeta
che visse molto tempo fa
e morì giovane,
accoltellato in un occhio
da un mercenario
probabilmente in una zuffa da osteria.
L’assassino fuggì
e sopravvisse al poeta
per oltre trent’anni.
Oggi, trascorsi più di tre secoli,
ce ne ricordiamo
per l’uomo che uccise,
e ci ricordiamo della vittima
per ciò che scrisse.
Alcuni nemmeno immaginano
che venne assassinato.
Si tuffano nei suoi versi
e sentendovi un fremito come di vulcano
comprendono che quello è proprio il suo cuore.
Così per loro lui è vivo,
e questo significa
che non c’è stato omicidio
e riguardo all’assassino –
l’assassino non è nemmeno esistito.

УБИЕЦЪТ

Като в поток от огнетечна лава
потъвам в стиховете на поет,
живял отколе,
убит на младини –
наръган с нож в окото
от някакъв наемник
уж в кръчмарска свада.
Убиецът се е измъкнал
и е надживял поета
с повече от трийсет години.
Днес, след повече от триста
ние си спомняме за него
само покрай убития,
а за убития –
покрай това, което е написал.
Някои дори не подозират,
че е убит.
Те се потапят в стиховете му,
усещат как в тях бие-бие-бие
едно сърце като вулкан,
разбират, че е неговото
и ето – той за тях е жив,
и значи,
убийство не е имало,
а пък убиецът –
убиецът не е и съществувал.

*

UN FUTURO CHE ABBIAMO SFIORATO

Gabbiani nel parcheggio deserto –
che si crogiolano nel sole mite del mattino.
È come se il mondo fosse finito.
Gabbiani – creature per ogni ambiente:
passeggiano sulla terra
agili come noi,
galleggiano sull’acqua
e nell’aria,
ovunque a casa propria,
e mai di fretta,
si crogiolano nel sole del mattino.
Ecco il nostro futuro –
un futuro che abbiamo sfiorato:
gabbiani nel parcheggio vuoto
e sole,
chiaro sole del mattino
sulle ali bianche delle nostre città.

БЪДЕЩЕ, С КОЕТО СЕ РАЗМИНАХМЕ

По празния паркинг са накацали чайки –
припичат се на сладкото утринно слънце.
Сякаш е настъпил краят на света.
Чайки – всъдеходи:
стъпват по земята
не по-зле от кой да е от нас,
плават по водата
и по въздуха
като у дома си
и не бързат
греят се на утринното слънце.
Ето бъдещето –
бъдеще, с което се разминахме:
чайки по опразнените паркинги
и слънце,
слънце утринно
върху белите крила на градовете ни.

1981

*

RITORNARE –
dopo un soggiorno così lungo
fra gli esseri umani
ritornare agli alberi.
In mezzo alle loro radici…

Preferirei stare con le foglie,
le fioriture,
le farfalle e gli uccelli,
con i raggi del sole…
Fra tutte le cose è la luce
quella che ho amato di più.

Eppure anche qui è grazioso –
quieto e pacifico.

Ora dovrò solamente imparare
come non fare più nulla
fino alla fine dell’eternità,
che, è evidente,
è destinata a durare ancora di più.

ДА СЕ ПРИБЕРА –
след толкова продължително пребиваване
между хората
да се прибера при дърветата отново.
Между корените им.

Бих предпочел да съм сред листата, цветчетата,
сред пеперудите и сред птиците,
сред лъчите на слънцето –
от всичко най-много обичах
светлината.

Но и тук е добре –
спокойно и тихо.

Сега трябва само да се науча
да не правя нищо,
докато свърши безвремието,
което, по всичко личи,
ще бъде още по-продължително.

 

 

Alexander Shurbanov, il suo fare poesia

di Francesco Tomada

Fra tutte le forme di scrittura, la poesia è probabilmente quella in cui è più importante la corrispondenza fra l’autore e la sua opera; nel caso di Alexander Shurbanov l’aderenza è pressoché assoluta, e costituisce al tempo stesso un valore aggiunto ed una garanzia di autenticità del suo lavoro.
Per quanto Shurbanov sia un autore di esperienza, mantiene uno sguardo che non viene mai appannato dall’abitudine, che è capace di quello stupore che spesso trasforma la sua poesia in una vera e propria epifania. Davanti a queste aperture improvvise, a queste vere e proprie illuminazioni da “raggio di primosole”, Alexander Shurbanov pare fermarsi, interiorizzare, riflettere per restituire la propria esperienza individuale sotto forma di patrimonio condiviso. E lo fa senza urlare, ma con la quieta consapevolezza dell’importanza delle parole, e contemporaneamente con quella discrezione e quell’umiltà con cui ci regala la sua “poesia non scritta” come testimonianza del momento esatto in cui la sta scrivendo.

(dalla prefazione della raccolta di Alexander Shurbanov “Primosole”, in via di pubblicazione in Italia, di cui fanno parte i primi tre testi qui presentati; il quarto, invece, fa parte della sua raccolta “Dendrarium)

 

L’autore:
Alexander Shurbanov (Александър Шурбанов), nato a Sofia (Bulgaria) nel 1941, è un poeta, traduttore, saggista, critico letterario e professore universitario, dottore honoris causa delle Università britanniche nel Kent e nel Surrey.
È il traduttore bulgaro dei “Racconti di Canterbury” di Chaucer; delle tragedie di Shakespeare; del “Paradiso perduto” di Milton; delle poesie di Dylan Thomas e di numerosi altri poeti inglesi.
Tre dei suoi sedici libri di poesia sono pubblicati anche in versione inglese con traduzione dello stesso autore.
Per oltre quarant’anni, Shurbanov ha insegnato letteratura Inglese all’Università di Sofia e ha pubblicato numerosi libri di critica sia in patria che all’estero. Come scrittore, studioso e traduttore è stato insignito di numerosi prestigiosi premi.
Le poesie del libro “Foresun” pubblicato dall’editore Scalino nell’agostoo 2016 in inglese, a Sofia in Bulgaria, sono state scritte prima in bulgaro e successivamente tradotte in inglese dall’autore stesso.

Il traduttore:
Francesco Tomada è nato nel 1966 e vive a Gorizia. I suoi testi sono apparsi su numerose riviste, antologie, plaquettes e siti web in Italia e in altri paesi, e sono stati tradotti in una quindicina di lingue straniere. Recentemente un’antologia monografica dal titolo “Questo è il mio tempo” è stata edita dalla casa editrice Scalino di Sofia.
La sua raccolta poetica più recente è “Non si può imporre il colore ad una rosa” (Carteggi Letterari, 2016).

Note:
Le traduzioni qui proposte sono state fatte da Francesco Tomada, dalla versione inglese e approvate dallo stesso Shurbanov.

Un ringraziamento particolare a Emilia Mirazchiysca, traduttrice e editrice di Scalino Ltd, che ci ha permesso di ospitare questi testi di Alexander Shurbanov.

 

 

 

Immagini       ————————–

Doppio sogno

Sette quadri

di Hamed Darek

(2019, olio su tela, 40×50 cm)   (2019, olio su tela, 40×50 cm)

 

 

 

Voce d’autore        ———————

In un nido d’acqua

Anna Rizzardi, “Il silenzio Bianco”

di Salvatore Cutrupi

 

La produzione poetica di Anna Rizzardi si arricchisce di una quarta silloge dal titolo ”Il silenzio bianco”, edita dall’Associazione Culturale Luna Nera.
Quello che colpisce in Anna Rizzardi è la coerenza del suo poetare, coerenza che riguarda i temi trattati, la musicalità del tessuto espressivo, il tono usato, una certa unità di pensiero e soprattutto la trama onirica che pervade le liriche di questo libro come quelle dei suoi precedenti lavori.
Nelle sue poesie un ruolo importante lo hanno i fiori che ritroviamo spesso nei suoi versi come se lei volesse dirci che accanto alle nostre fragilità c’è sempre una primavera che accompagna il nostro vivere, il nostro sognare, il nostro viaggiare dentro l’anima:

e se la notte

disusata
ai cieli
mi dileguo
in tulipani di pelle
rilegando al foglio
ramo, fiore
l’orma al piede
la nuvola alla terra
la lettera al nome
(e se la notte
diventa cielo,
non è pace
ma sosta nel tremare
segnata
dal lampo
della conoscenza)
e non c’è distanza
verde
solo labbra stampate
al giro
di ogni nuova mandata

Altri motivi ricorrenti nella narrazione poetica di Anna Rizzardi sono il vento e l’acqua.
Il vento inteso come elemento purificatore e l’acqua come simbolo di vita, di rinascita che sotto forma di pioggia rende feconda e fertile la terra.

fiore nascosto

…come se
annusare
il vento
fosse un peccato
senza posarne
in gola
almeno la cadenza…
ma anche i fiori
tra i denti
non sono forse
vento?

*

ora

ho scommesso
in un nido d’acqua…

unico lembo
di sogno
per ritrovarmi
cellula
pulita

rivangare sigilli
frugare
cavilli nel fango
umano…

viversi onda
nel magma
baciare istinti
eruttare
fiori
nel gioco
indistinto…

(la goccia lunare respira)

Apertamente o con sottili metafore, tra visioni e immagini create dall’arte di inventare, sboccia (come un fiore) l’apoteosi dell’amore, dell’abbraccio, del desiderio, dell’amplesso.
L’autrice non ha paura di mettere a nudo sé stessa, i suoi istinti, i suoi sentimenti e vuole testimoniare che l’unico scopo del nostro esistere è quello di vivere e far vivere l’amore, l’amore senza compromessi, senza limiti, perfino quello senza speranze:

quando la pioggia si fa mano

è quando
ti lecco l’anima
che le mie ali
si fanno umide
scendono farfalle
sui seni – viaggio silenzioso in cui sei nuovo –

ondeggi senza timore
tra le anche
mentre mangi
i miei respiri
che sanno di mare
e ne trattieni a lungo
il sale

labbra
contro labbra
spighe papaveri
pioggia
nell’erba fresca
raggiungimi
lottiamo
nell’alba e facciamone
un unico bacio
nel silenzio
scivola tra gli occhi
e urla i nomi, quando la pioggia si fa mano

verso il cielo

*

il canto

immagina
per un attimo
il bianco
che scende
lentamente
tra i denti
gocciolando
è arteria sottile
che si espande
nella mano
travalica
declivi
soli
rose nere
e piange
nel sangue
(il petto – azzurro –
s’apre)

Si può affermare che l’orizzonte poetico di Anna Rizzardi riesce a destare nel lettore meraviglia, stupore, incanto e che l’ondeggiare dei versi tra sogno e realtà è capace di seminare vibrazioni, suoni, emozioni e farli poi germogliare.

Intervista ad Anna Rizzardi:

Per il titolo del tuo libro “Il silenzio bianco”, hai voluto usare una sinestesia, un’associazione di parole che appartengono a sfere sensoriali differenti. In genere i poeti utilizzano questa figura retorica con lo scopo di dare maggiore risalto alle descrizioni. Nel tuo caso, quale motivazione ti ha suggerito di scegliere questo titolo?
Il silenzio bianco è l’attimo, a mio parere, della purezza, del “sentire acceso” senza mediazioni, il momento in cui la poesia “si fa pane”.
Nel mio testo di chiusura parlo di “germinare”, ecco per me la poesia è quel seme che cresce e accresce la risposta interiore, si fa capitolo, libro e infine scivola via dalle mani in un sottile silenzio bianco.
È nel silenzio bianco infatti che l’io diventa noi… e ti permette di captare i cento colloqui che intorno a te respirano.

Il tuo stile poetico è caratterizzato da componimenti scritti in minuscolo, per lo più brevi e sprovvisti di punteggiatura. È presente anche l’uso di trattini e dei tre puntini di sospensione, come a volere spezzare le frasi per simulare il ritmo del respiro o forse per lasciare il resto all’immaginazione del lettore.
Quale è il tuo pensiero al riguardo?
Lo stile che inconsapevolmente adotto è per rendere “il senso indefinito” che appartiene all’animo umano; a volte le sensazioni che si accavallano nel cuore, fremono, confondono, aggrovigliate respirano, necessitano pertanto di stasi, pause, “sospensioni di cuore” come le chiamo io, solo così possono fuoriuscire e diventare vita sulla pagina….
In una mia poesia credo sia condensato il mio pensiero: “chissà perché/ più racchiudi insonnia e sangue/ più avanza/ il senso indefinito di te,/ che pulsa nelle ossa/ non c’è modo di spillarlo/ nemmeno con un coltello nel buio”.
“Per spillare” il mistero, lo stile deve esternare la fatica, l’insondabilità e l’imprevedibilità della parola che si fa con parto accurato, carne, sillaba chiara, sintagma scarno e pulito.

Nel libro “Con la rosa tra le labbra”, e anche in questo tua ultima silloge, il tema dominante sono i fiori. Si sa che attraverso i fiori si può manifestare il sentimento: dalla gelosia alla passione, dall’ammirazione alla fedeltà, dall’amicizia all’amore. Cosa raccontano i “tuoi” fiori?
I fiori, come ad esempio nella poesia “baciare l’estate”, diventano sia simbolo della fragilità dell’essenza umana sia dell’attesa, del lento vivere contrapposto alla frenesia che caratterizza l’essere umano. “Prendere confidenza” con essi – cito alcuni versi del testo “e le mani” (“ho preso confidenza/ con l’indole dei fiori/ bocca sopra il morso/ sangue metamorfico/ a prova che/ al primo soffio/ entra veloce” ), significa assimilarsi al loro naturale processo di morte e rinascita, farsi diari aperti in costante, perpetuo divenire, senza rinnegare nulla di sé, sia in positivo, sia in negativo, operarsi una sorta di quotidiana metamorfosi interiore per sopravvivere all’incedere dei giorni… bisogna “spogliarsi senza prodigi” e ragionare col sangue e nel sangue…

A parte l’amore che compare spesso nelle tue liriche, quali sono i principali valori esistenziali in cui credi e come tendi a rappresentarli nella tua poetica?
I principali valori esistenziali in cui credo? Infiniti e universali, il Rispetto e il farsi altri per gli altri… A questo proposito, cito due miei testi a me particolarmente cari: “Madre blu”, (poesia selezionata per lo spettacolo del Gruppo 77, “La geografia è un destino” Itc teatro, San Lazzaro di Savena, aprile 2017) e “La tua violenza” (testo selezionato per l’antologia ‘OR-DITE! Trame d’Arte contro la violenza sulle donne’, a cura dell’Associazione Culturale Exosphere).
Nel primo che confesso di aver scritto con le lacrime sulle nocche, cerco di esternare con i pugni chiusi quanto sia lancinante il dramma purtroppo quotidiano di cercare la vita a costo della propria vita; basta sondare le mie parole per leggervi quanto idealisticamente bello e diverso vorrei il mondo che ci circonda: “madre, strana parola/ madre dove sei ora?/ Ricordo solo la tua stretta/ lancinante/ prima di respirare/ tutto quel blu/ madre, madre blu/ stai con me, qui tutti mi guardano/ e io abbasso lo sguardo/ – sono nato con gli occhi chiusi –”.
È nel grido silenzioso di questo bimbo che si condensa il mio urlo, il mio desiderio di cambiare l’essenza di un uomo sempre più cinico, che pensa a perdifiato a una egocentrica e quantomeno sfrenata affermazione di sé; il mondo deve assolutamente e con urgenza riscoprire il canto di sé nell’altro, deve ragionare “di mosse a braccia spalancate”, prima di assumere un triste, cupo, anonimo volto che tutto è tranne che segno di compartecipazione e apertura.
La seconda poesia da me scritta in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, contiene molto esplicito un messaggio: è il riscatto, è la presa di coscienza, è il grido di risurrezione e consapevolezza che la donna esterna per fagocitare l’odio e la brutale nonché immotivata violenza di cui spesso purtroppo è vittima. Ella vuole affermare a piene lettere, con coraggio, con ostinazione la sua totale rinascita… “non temo più/ muscoli né coltelli/ in sovrapposizione perfetta/ resto aggettivo/ dal cuore – parola/ (la tua violenza è ora cuore, acqua, acqua e cuore,/ e lo sai, la donna è fiore)”.

La poesia oltre ad essere pensiero, sentimento, emozione spesso è anche messaggio. Quale è quello contenuto nel tuo scrivere?
Credo che in particolare la poesia d’apertura de “Il silenzio bianco” possa rendere il mio “messaggio”… lascio al lettore la libertà di decifrare il sangue vivo che vi scorre… : “addentrarsi nei cunicoli/ nel cuore/ morderne tutte le cavità/ per sventrarne le opacità/ captare il sangue vivo/ anestetizzarlo tra i denti/ è sopravvivenza ardua/ congiunta alle foglie/ che tremano/ – è conciliazione dell’affondare/ senza affondarsi –// (apri la prima persona/ singolare/ per captarne il canto/ di cento colloqui)”.

 

L’autrice:
Anna Rizzardi è nata nel 1973 a Brescia, dove tuttora risiede.
Si è laureata in Lettere presso l’Università Cattolica di Milano, nel luglio del 1997.
È docente di ruolo di Italiano e Latino in un Liceo cittadino.
Nel 2012 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica, “Danza di una farfalla” e nel 2013 “Il codice degli occhi”, entrambe con l’Associazione Culturale Luna Nera.
Sue poesie sono state premiate e segnalate in diversi concorsi nazionali di poesia.
Nel febbraio 2015 ha pubblicato la raccolta “Con la rosa tra le labbra”.
Dal luglio del 2014 all’aprile 2018 ha collaborato con il magazine di fotografia on line “The Imaginarium” – “Tribute to Photography” (L’angolo poetico).
Fa inoltre parte del collettivo poetico e culturale Gruppo 77 diretto da Alessandro dall’Olio, un gruppo letterario indipendente, che diffonde la poesia e riunisce chi la ama.
Il nuovo libro “Il silenzio bianco” è stato pubblicato in quanto vincitore del VII Concorso Letterario “LunaNera”. La sua nuova pagina on line dove di fotografia e poesia è: Anna Rizzardi Photography&Poetry.

(Anna Rizzardi “Il silenzio bianco” Luna Nera, pp. 64, 2019)

 

 

 

Immagini      ————————–

Doppio sogno

Sette quadri

di Hamed Darek

(2019, olio su tela, 40×50 cm)

 

 

 

Voce d’autore       ———————–

Sono qui

Francesca Piovesan, “Il buio della scarpiera”

di Giovanni Fierro

 

Si svela piano piano la poesia di Francesca Piovesan. E questa sua più recente raccolta, “Il buio della scarpiera”, è un ulteriore dimostrazione del suo percorso d’autrice.
È un libro che indaga e mostra le profondità dell’animo umano, anche quando sono messe in scacco da situazioni delicate e difficili, ma mostrano sempre una nuova possibilità per il proprio rinnovarsi.
In queste pagine l’intimità del sentire e del vivere trova le parole migliori, esattamente dove “con il dito disegno onirici/ desideri”.
Il corpo della poesia, e dell’esistenza, diviene così nella scrittura di Francesca Piovesan l’epicentro in cui farsi accadere, dove poter dire “è da cartolina il mio cielo senza” e “tra le labbra mordo il calore dell’aria”.
Perché il vivere è già fare poesia, e così “La vita è tutto un rimanere in attesa/ di andare a capo”. Meglio di così non lo si può spiegare.
Il libro è un intreccio di ‘noi’, dove la vicinanza alla persona cara è sempre un pericolo, da affrontare o da dimenticare, dove la serenità condivisa non è mai un regalo.
Anzi, è il frutto di considerazioni ed esperienze, perché si può proprio raccontare la “verità di sogno già mia prima di te/ che sai solo ciò che vedi”.
Francesca Piovesan ha il coraggio di esporsi, con uno sguardo che non si ferma mai alla superficie che consola, ma accetta anche di non trovare le risposte: “non so di chi è la colpa”.
Sensuale e attenta alle sfumature, la sua scrittura svela anche una forza naturale, che non calca mai l’effetto né l’impatto, ma che sa trovare il sapore del proprio battito cardiaco.
Sì, “Mi spengo nel terso./ Ancora noi”, ed è questo il luogo dove tutto può succedere, perché “Accarezzo le parole in assenza”; e le direzioni sono tante e ardite, per arrivare dove “Il respiro ha movimento diverso”.
La sincerità è l’innesco di questo libro, il luogo dell’esistere che è assoluto, e che si mostra con ogni minuta fragilità, necessaria e difesa, per arrivare a “Desiderare la vampa remota/ nel silenzio profondo”.

 

Dal libro:

Prospettive

Non cerco più la verità dei sogni,
ma di sostanza densa mi rapprendo
in verosimili prospettive.

*

Destino

Respiro la campagna, la polvere negli occhi.
Cammino terra bruna.
Il taglio della ferrovia dice stazioni diverse.
Il destino si fa per via
gettando al vento frammenti accartocciati.
È un richiamo il tuo dire (e ridire).
Corro il respiro affannoso.
Sono qui.

*

Un pensiero

Parola importante la tua. Cieli plumbei
di traverso si sfilacciano.
Niente gridi di rondini in volo,
ma un tubare monotono e schivo.
Tralicci dell’alta tensione
noi
uniti da sciami di corrente.

*

Distanti

Ascoltare la vita nel vento mattiniero
mentre foglie piovono la fine dell’estate.
Desiderare la vampa remota
nel silenzio profondo.
Nuvola leggera
è la voce. Così trascorriamo
distanti da noi.

 

Intervista a Francesca Piovesan:

Cosa significa scrivere della propria intimità, del proprio profondo sentire?
Scrivere poesia, per quanto lontano possa essere l’io-lirico dall’autore, vuol dire inevitabilmente mettere a nudo il proprio mondo interiore, addirittura la parte più recondita dell’ego, che a volte emerge grazie a uno straordinario e intricato gioco di analogie, dalle quali il poeta è mosso nel suo comporre.
Se è vero che la sua esperienza individuale deve farsi universale così da non cadere nel diaristico, è anche importante, però, che i suoi versi parlino della vita vera, in quanto, la poesia per essere autentica, deve farsi interprete del reale. Solo in questo modo può divenire significativa per il lettore che poi la interpreta rendendola qualcosa d’altro.
Va inoltre sottolineato come lo scrivere dell’io possa rivelarsi da un lato un modo per curare le proprie ferite interiori, dunque catartico; dall’altro conduca alla più profonda disillusione nei confronti dell’esistenza, poiché lo sguardo poetico si spinge oltre le rassicuranti apparenze della realtà.

Questo tuo nuovo libro è anche un percorso, tramite la scrittura e queste pagine, per dare una nuova forma al sé, al proprio stare nella vita?
Ritengo che questo nuovo libro rappresenti in qualche misura un percorso di crescita personale, di autodeterminazione che è avvenuto anche grazie alla riflessione poetica.
Dunque non solo la vita è in grado di influire sulla poesia, ma anche la poesia è in grado di agire profondamente sulla vita. Poesia e vita, a volte, sono due aspetti di una medesima realtà. La poesia inoltre rende consapevoli e in queste miei ultimi versi campeggia una donna che ha saputo farsi nuova, trovando la forza di un’impertinenza tutta femminile di radice classica; una donna che ha riscoperto una parte vitale di sé.

Tutto il libro cerca un dialogo, possibile o già esistito. Che cosa ha comportato, e cosa comporta, tutto questo?
Il libro è un dialogo dell’io lirico con il proprio io, con la Natura, con le persone che ruotano intorno alla sua esistenza, con i lettori. Ogni scrittura è mutamento, evoluzione e apertura verso nuovi orizzonti, ma non esiste cambiamento e crescita se non ci si pone dialogicamente dinanzi a ciò che ci circonda. Ciò significa mettersi in relazione con l’altro da sé e questo aiuta a riconoscersi in quanto soggetto.

Fisicità e silenzio fissano sulla pagina queste tue parole. Sono loro che nutrono, mi sembra, gli sguardi di pensiero e di emozione che sono poi il libro stesso. Può essere così?
Assolutamente sì. La fisicità è elemento molto presente in queste mie ultime poesie. In effetti i sensi si fanno da tramite ad una conoscenza di quello che è il mistero della vita, che può essere colto soprattutto attraverso l’intuizione.
Forse, però, reclamano anche una loro maggiore autonomia e si rendono portavoci di una percezione della realtà tutt’altro che epidermica, in grado di incidere profondamente nell’animo.
Noi uomini siamo spiriti di carne in profonda comunione con la Natura, unica fonte di felicità nell’attimo in cui ci permette di sondarne il segreto in unione con il Tutto.
Il silenzio diventa elemento necessario al compimento di questo atto disvelatore, epifanico, e permea ogni momento di conoscenza dell’io e dell’universo.

Bisogna difendersi per poi veramente iniziare a riconoscersi?
Credo ciò sia vero in particolare per le donne. Ci dobbiamo difendere da un modo univocamente maschile di concepire la vita, che ancora ci limita e pone dei freni alla nostra capacità di risolvere i conflitti attraverso la forza dell’amore.
Noi siamo in grado di essere madri e amanti ad un tempo, tuttavia ci facciamo troppo spesso sopraffare dal mondo degli uomini, invero tanto più fragili di noi.
Dobbiamo riscoprire l’impertinenza di un’Antigone, riconoscerci in quanto apportatrici di valori fondamentali alternativi.

Di questo quotidiano che esplori e in cui ti avventuri, per sentieri emotivi pericolosi e mai al riparo, cosa rimane a libro finito?
Rimane un senso di rinnovamento interiore, la coscienza di aver percorso nuove strade finora inesplorate, magari tortuose e impervie, ma che hanno dato la possibilità di osservare sé e l’altro da sé secondo nuove prospettive. Non c’è mai un arrivo, però; anche quando si crede di aver raggiunto l’agognata meta.
Tutto è in fieri, eterno divenire. Il viaggio continua: “Voglio scendere, correre verso.

C’è un ‘noi’ che è il vivo vincolo della tua vicinanza alla scrittura, e un altro ‘noi’, di presenza umana, che è invece quasi una condanna da cui non poter uscire, un legame da cui non si può scappare. Questi due ‘noi’ hanno un punto di contatto, si incontrano?
Questi due “noi”, dicotomici, trovano nei versi la loro unica possibilità di ricomposizione in un’unità dinamica.
Nel pensiero o nel mondo onirico i dualismi si sfumano, nella realtà il contrasto rimane vivo.
D’altro canto forse è la poesia la vita vera, quella che dà veramente un senso a tutto.

Quale il lavoro che hai fatto nello scegliere, non solo le parole, ma anche le atmosfere e le situazioni che contengono ogni accadere raccontato, nella fase di scrittura?
“Lavoro” è termine quanto mai appropriato per definire la fatica del comporre e lo sforzo del limare (“labor limae”).
Inizialmente i versi li vedo, li sento, li vivo; poi li scrivo. Tutto parte da una parola, un verso, una sensazione, un’emozione e si tramuta in percezione analogica della realtà. Di seguito arriva la ricerca della frase poetica, della versificazione ritmica, della melodia. Gli stimoli possono essere di natura razionale o emozionale, possono derivare dal vissuto, dal vivente o ancora dalla lettura di libri classici o contemporanei. Ciò che infine dà forma piena ai versi è una sorta di magica unione tra ciò che è nascosto e ciò che è immediatamente percepibile.

L’autrice.
Francesca Piovesan è nata a Venezia e si è laureata in Lettere a Ca’ Foscari. Abita a Pordenone.
Per il quotidiano “Il Gazzettino” ha condotto dei reportage di carattere culturale e sociale.
La sua poesia “Vienna” è stata segnalata per qualità e originalità al V Concorso di poesia e letteratura di viaggio “Le capitali” nel 2010 e il racconto “Parole silenti” ha ricevuto un riconoscimento e targa celebrativa, nonché citazione nell’antologia, alla 3^ edizione del concorso “I Picentini” nel 2011.
La sua video poesia “L’onda infame” è risultata finalista nel “Premio Internazionale di letteratura Antonia Pozzi” del 2016.
Ha un blog di letteratura nel sito “I colori della vita”.
Nel 2015 ha pubblicato la raccolta di poesie “Una vita tante vite”, e nel 2016 “La sospensione dei pensieri”, entrambe edite da Ladolfi.

(Francesca Piovesan “Il buio della scarpiera”, Ladolfi editore, pp.68, 10 euro, 2019)

 

 

 

Immagini          ————————–

Doppio sogno

Sette quadri

di Hamed Darek

 

 

 

Immagini       ————————–

Doppio sogno

Sette quadri

di Hamed Darek

L’artista:
Hamed Darek è nato nel 1993 a Bamyan, e ha insegnato pittura presso la scuola Ibn Sīnā (Avicènna) di Balkh, una città nel nord dell’Afghanistan, considerata tra le più antiche del mondo, per molto tempo sede principale centrale dello Zoroastrismo, ma ridotta oggi a un cumulo di rovine.
Rimasto orfano, in un paese dove l’arte e la pittura sono osteggiate, ha deciso di emigrare, prima in Germania e poi in Italia, dove attualmente è ospite del centro di accoglienza del Nazareno, a Gorizia.
Ha partecipato a diverse mostre collettive, e i quadri qui proposti hanno fatto parte della sua prima mostra personale, a titolo “Doppio sogno”, che si è tenuto nello spazio espositivo dell’associazione Agorè di Gorizia, dal 29 agosto all’8 settembre di quest’anno.

 

rivista Fare Voci

curata da Giovanni Fierro

collaboratori:
Roberto Lamantea, Salvatore Cutrupi, Ilaria Battista, Gaia Rossella Sain
Alessandro Salvi, Livio Caruso, Guido Cupani, Antonello Bifulco.

 

 

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